domenica 17 marzo 2024

L'AMERICA GIOVANE SFIDUCIA BIDEN. E IL VERO MOTIVO NON È LA SUA ETÀ

FEDERICO RAMPINI
 

 

 

Come conciliare la salute dell'economia e il pessimismo degli elettori

Una delle ragioni per cui Joe Biden potrebbe perdere le elezioni il 5 novembre è l’umore pessimo dell’America. La sua età pesa, ma solo come un’aggravante: il fatto è che una maggioranza di americani sono profondamente insoddisfatti. Lo stato d’animo del paese sembra in contraddizione con la situazione economica: buona o addirittura eccellente. Come si spiega questa divaricazione? 

E’ un tema che ho trattato nelle due puntate del mio programma televisivo già andato in onda, oggi voglio aggiungervi un elemento in più. Biden fatica a compattare gli elettori più progressisti che sono i giovani. Una ragione è questa: riconoscere che l’economia americana va bene è incompatibile con le certezze ideologiche di questa generazione, convinta che il capitalismo è oppressivo, e la crescita provocherà un disastro climatico. 

In altre parole, l’ideologia dominante oggi nella sinistra radicale fa velo ai giovani, quindi impedisce che riconoscano i risultati positivi anche se sono accaduti sotto un governo di sinistra. Per molti di loro una buona notizia è incompatibile con la rappresentazione che si fanno del mondo, quindi deve essere impossibile. E così si dissolve, proprio in campo progressista, uno dei principali argomenti a favore di Biden e della sua rielezione.

La fiducia dei consumatori è ai minimi storici

Faccio un passo indietro e ricordo che siamo davvero in una situazione anomala. Come sottolinea Rogé Karma sul magazine The Atlantic, uno degli indicatori più affidabili sulla percezione che gli americani hanno della situazione economica, è la periodica indagine sui consumatori condotta da decenni dalla University of Michigan. Karma si chiede: se uno tirasse a indovinare quale fu il momento di più grave pessimismo degli americani, quale periodo sceglierebbe? Forse gli anni Settanta con due shock petroliferi, recessione e iperinflazione a due cifre? Forse la grande crisi globale del 2008 scatenata dal crac dei mutui subprime a Wall Street? Forse l’inizio della pandemia quando il Covid fece perdere il lavoro a milioni di americani? Tutte ipotesi ragionevoli, tutte sbagliate. Secondo la University of Michigan Surveys of Consumers, l’abisso di pessimismo è stato toccato nel giugno 2022. Una possibile spiegazione è che in quel mese l’inflazione salì al 9% e inoltre tutti parlavano di una recessione imminente (mai avvenuta).

In seguito la situazione è migliorata a gran velocità e ben oltre le speranze dei più ottimisti; inoltre anche la perdita economica e il disagio sociale provocato dall’inizio della pandemia è stato rapidamente curato con gli aiuti pubblici più generosi del mondo (5.000 miliardi di dollari, tre quarti delle famiglie americane ne sono state beneficiate). Eppure l’indice di fiducia dei consumatori non è risalito come ci si aspettava. Il mistero per cui Biden viene considerato un pessimo presidente dalla maggioranza degli americani, mentre l’economia va a gonfie vele, ha provocato reazioni tra lo sgomento e l’indignazione alla Casa Bianca e nei circoli delle élite di sinistra. Tra i più stonati c’è l’economista Paul Krugman, che sulle colonne del New York Times da mesi si esercita in infinite variazioni sul tema che riassumo così, con parole mie: viviamo nel migliore dei mondi, quegli americani che non ne danno il merito a Biden sono degli imbecilli, o dei fascisti, o tutt’e due.

La verità sull'inflazione

Per fortuna abbondano le reazioni un po’ più equilibrate. Sull’inflazione, sappiamo bene qual è il problema. Durante la pandemia ci fu un gran botto dei prezzi al rialzo, con impennate del 9% mensili come quella già ricordata. Adesso, quando si dice che “l’inflazione rallenta” perché “è scesa al 3% circa”, questo non significa che i prezzi siano tornati ai livelli precedenti. Continuano ad aumentare, per fortuna molto più lentamente. Il danno però è stato fatto. Ai consumatori interessa pochissimo quel “tasso d’inflazione” che appassiona gli economisti, loro giustamente guardano il livello assoluto dei prezzi che rimane molto alto. E genera malcontento, con sommo disappunto di Krugman.

Bisogna poi aggiungere la dinamica prezzi-salari. L’America vive una stagione ottima per i lavoratori, le cui buste paga negli ultimi anni sono aumentate in molti casi quanto i prezzi e in certi casi di più. Categorie come i metalmeccanici dell’automobile, i camionisti o i portuali, hanno siglato rinnovi contrattuali con aumenti dal 25% al 30%, quindi portano a casa dei guadagni che li compensano degli aumenti del costo della vita. Attenzione, però, prezzi e salari non sono percepiti allo stesso modo. Cito ancora Rogé Karma, e l’economista Betsey Stevenson della University of Michigan: “La maggior parte di noi pensa che l’aumento salariale se lo è meritato; mentre quando va al supermercato e trova il rincaro dei beni alimentari, pensa che il suo aumento salariale gli viene tolto ingiustamente”. 

Fin qui abbiamo una spiegazione razionale del perché il costo della vita continua a indebolire Biden, e cancella o mette in secondo piano altri indicatori positivi (come l’aumento dell’occupazione). 

I giovani condannano il capitalismo, quindi rifiutano le buone notizie...

Poi viene l’altro fenomeno che chiama in causa più tipicamente i giovani. La loro percezione dell’economia è molto diversa da quella degli adulti, soprattutto a sinistra. Secondo un sondaggio della Cnn, il 63% dei democratici oltre i 45 anni di età pensa che l’economia è in buona salute; invece solo il 35% dei giovani ha la stessa visione positiva. Qui la spiegazione è culturale e ideologica. Si collega a quest’altro dato: tra i giovani democratici compresi nella fascia di età da 18 a 35 anni, elettori che tendono ad essere più progressisti e più radicali dei democratici meno giovani, il giudizio positivo sull’economia di mercato e sul capitalismo è franato dal 56% al 40% in un decennio. I giovani pensano che il socialismo sia molto migliore del capitalismo, a quest’ultimo addebitano tutti i mali dell’umanità. 

“Riconoscere che l’economia va bene – osserva l’opinionista su The Atlantic, magazine decisamente progressista – richiederebbe di sacrificare la propria ideologia e quindi la percezione di sé, l’identità tipica del giovane progressista”. Non importa se alla Casa Bianca c’è un democratico. Se un giovane si è nutrito (o è stato indottrinato) con la certezza che il capitalismo è un sistema oppressivo, che l’America è una società ingiusta, che la crescita economica distruggerà il pianeta, allora questo giovane è “vaccinato” contro le buone notizie, si rifiuta di prenderle per tali. 

Sul fronte repubblicano, il meccanismo che conta è più prevedibile. E’ un’antica regola statistica: l’elettorato ha un’opinione più negativa sulla situazione economica, quando alla guida del paese c’è un leader che appartiene alla parte avversa. Inoltre il popolo di destra “bilancia” le buone notizie economiche con quelle cattive che giungono da altri fronti: immigrazione illegale incontrollata, aumento della criminalità, senso di insicurezza, declino dei valori tradizionali. Su questo fronte non ci sono vere sorprese. La sorpresa negativa per Biden è l’impermeabilità dei giovani di sinistra alle buone notizie sotto la sua presidenza. 

Temo che non basti a cambiare il quadro l’enorme generosità di Biden verso questa generazione, vedi la cancellazione (molto discutibile) dei debiti universitari: qui siamo in pieno “voto di scambio”, regalìe di denaro pubblico per catturare consensi; ma l’ideologia spesso è più forte degli interessi materiali. 

Federico Rampini

Nota bene: quanto scritto qui sopra indica una vulnerabilità di Biden, non equivale a una previsione sulla sua sconfitta. Sull’esito finale pesano molte altre incertezze, non mancano certo le vulnerabilità di Trump (e avrò occasione di scriverne). Nei prossimi sei mesi chissà cos’altro potrebbe succedere per influenzare l’esito finale.

 16 MARZO 2024

Tratto dalla newsletter GLOBAL di Federico Rampini

 

 


sabato 16 marzo 2024

IRLANDA: LA BATTAGLIA PER LA RAGIONE

IL POPOLO HA VOTATO NO AI PAZZI INGEGNERI SOCIALI CHE VOLEVANO CANCELLARE LE MADRI DALLA COSTITUZIONE.

 Il flop dei referendum irlandesi, promossi dalle élites e bocciati dal popolo

E così i tempi cambiano. E in Irlanda, forse, sono cambiati più velocemente che in qualsiasi altro posto dell’Europa occidentale.

Ogni nazione è costruita attorno a una storia e a un mito fondativo. Il mito fondativo della Repubblica irlandese era quello di una nazione celto-cattolica che si liberava dalle catene dell’impero britannico e costruiva un paese per il proprio popolo attorno ai propri valori. Ora, con la globalizzazione anzi il globalismo, ne è emersa una nuova, un nuovo mito. La Nuova Irlanda è progressista. È individualista. È tollerante. È irreligiosa. È digitale. È woke. Ora ha persino un presidente che imputa il massacro di cristiani in Nigeria al clima.

L'Irlanda l'8 marzo è andata alle urne per il suo referendum sul cambiamento costituzionale. Questa volta l'obiettivo del governo woke era quello di modificare la formulazione dell'articolo 41, che è “volto a promuovere e tutelare l'istituto familiare”. La domanda è: cos’è una madre? L’attuale costituzione recita:

“Lo Stato riconosce che con la vita domestica la donna fornisce allo Stato un sostegno senza il quale il bene comune non può essere realizzato”. Patriarcale e sessista, il governo proponeva di sostituirla con una nuova versione:

“Lo Stato riconosce che la prestazione di assistenza reciproca dei membri di una famiglia in ragione dei vincoli che esistono tra loro, fornisce alla società un sostegno senza il quale il bene comune non può essere realizzato”.

Molto meglio, no? Niente più “donne” e “madri”. Evviva! La liberazione dall’oppressione è compiuta!

No, il popolo irlandese ha rigettato gli ingegneri sociali e votato per tenersi la vecchia costituzione, riconoscendo che le ombre erano ombre. “Il popolo irlandese si è espresso e ha dato una bastonata al governo e ai partiti” scrive la senatrice Sharon Keogan. “Le donne non vogliono essere ridotte a un linguaggio non di genere. Per quanto mi riguarda, non ho considerato la cancellazione delle parole ‘donna o madre’ come qualcosa degno di essere portato avanti”. Mary Harrington su Unherd spiega che si tratta di una ossessione delle élite: come dovranno sentirsi tutte quelle madri che coniugano vita domestica e lavorativa? The Critic fa notare che è davvero surreale e ironico (davvero?) che a voler cancellare la maternità siano i progressisti. Lo Sinn Fein voleva abrogare le madri dalla Costituzione, ma è filo Hamas.

(…)

L’ho chiesto a John Waters, l’intellettuale più libero e anticonformista d’Irlanda.

Perché questa ossessione di cancellare la maternità?

Non ha nulla a che fare con il progresso, che è solo una parola carina (non per me!) per attirare le persone stupide. Ci sono diverse ragioni per cui si voleva cambiare il riferimento alle madri e alle donne in casa: eliminare il diritto che le famiglie hanno nei confronti dello Stato attraverso la madre di essere sostenute quando i tempi sono duri; ma anche di eliminare le parole ‘donna’ e ‘madre’ perché in futuro si vuole parlare di Genitore 1 e Genitore 2. La loro affermazione che l’articolo 41 è ‘sessista’ è una bugia. Offre alle madri la possibilità di prendersi cura dei propri figli da sole, nella casa familiare. Esiste un altro articolo (articolo 45) che garantisce il diritto della donna a lavorare fuori casa se lo desidera. Sono dei bugiardi disgustosi. Niente di quello che esce dalle loro bocche è la verità. L'altro emendamento riguarda principalmente la creazione di una vaga ridefinizione del concetto di ‘famiglia’ in modo che possano portare sempre più emigranti, per sostituire la popolazione indigena - già ben avanzata, comprese le famiglie musulmane che praticano la poligamia e sono quindi ‘discriminate’ secondo l'attuale legislazione irlandese.

GIULIO MEOTTI

tratto da       https://meotti.substack.com/p/mamma-la-parola-piu-bella-mai-pronunciata?utm_campaign=email-post&r=jotp0&utm_source=substack&utm_medium=email

 

 

giovedì 14 marzo 2024

LA DITTATURA WOKE CONTRO LA LIBERTÀ E LA CIVILTÀ

L'OCCIDENTE IN GUERRA CON SE STESSO

di Marcello Veneziani

L’Occidente è in guerra con l’Est – russo, medio ed estremo oriente – e con mezzo sud del mondo. Ma è in guerra prima di tutto con se stesso. Se non credete alle analisi e alle critiche, leggete le testimonianze dirette e le biografie.


Dunque, parliamo di una ragazza veneta, progressista e radicale, che va a studiare negli Stati Uniti. E’ una storia esemplare che racconta la realtà e annuncia come finirà da noi, imitatori pappagalleschi degli americani. La ragazza partì per uno stage negli Stati Uniti quindici anni fa, poi rimase a svolgere un lavoro culturale in un’istituzione italo-americana. Ora che ha superato i quarant’anni non ce la fa più a vivere sotto la dittatura woke, che si è fatta irrespirabile, minacciosa, oppressiva, soprattutto per i bianchi e gli eredi di civiltà europea. “Qualsiasi cosa dica o faccia può essere condannata come una micro-offesa rivolta contro afroamericani o latinos”. Nelle prove d’ammissione ha dovuto scrivere un saggio preliminare di buone intenzioni, non circa il suo impegno negli studi ma contro il razzismo. Ovvero, non deve solo ripudiare il razzismo ma deve anche impegnarsi a militare contro il razzismo. Non ogni razzismo, perché la cultura woke sostiene che ci sia un solo razzismo, quello dei bianchi occidentali verso i neri, i latinos e gli asiatici. All’inizio del master ha dovuto scusarsi con i compagni di corso coloured; e non per una colpa reale e specifica, ma per il fatto di essere bianca, occidentale, e dunque portatrice insana di razzismo. A settimane alterne, riferisce la donna, i bianchi devono fare anche un corso di contrizione, chiamato White accountability, responsabilità dei bianchi, in cui si devono sottoporre a un umiliante interrogatorio di due ore per rispondere del loro razzismo, pur latente, e pentirsi. Parallelamente i suoi colleghi di studi afroamericani si riuniscono in Spazi neri e sicuri, Black men (o Women) safe space, per coltivare la loro identità e denunciare le microaggressioni subite dai colleghi bianchi. 

In cosa consisterebbero queste “micro-aggressioni”? Frasi considerate offensive e vietate, anche se al buon senso e all’esperienza di sempre, appaiono del tutto neutre e innocue. Gli esempi rendono meglio l’idea di quale follia masochista e giacobina stiamo diventando vittime: mai chiedere a un collega di colore da dove proviene perché quella domanda implica una discriminazione etnica; guai a citare a un nero la parola campo di studi perché può alludere ai campi di piantagione di cotone e dunque allo schiavismo dei suoi avi; o può evocare l’attività bracciantile di suo nonno messicano. E se cadi in quell’errore ti devi subito scusare e fare autocritica, ripudiando il “privilegio bianco” che ti ha fatto sbagliare.

Alla Columbia University, dove hanno insegnato fior di docenti (anche il nostro Giuseppe Prezzolini), il mantra è nell’acronimo Prop, che sta per Potere razzismo oppressione privilegio. Naturalmente il bianco è iscritto d’ufficio, per ragioni razziali – è il caso di dire -alla categoria del razzista oppressivo e privilegiato; e gli altri per ragioni etniche alla categoria di vittima dei succitati. Dietro quell’etichetta c’è un’ideologia dominante, la critical race theory, eletta ormai a bibbia delle università americane. 

E con gli ebrei? Si distingue, se sono di origine est-europea e dunque ashkenaziti, rientrano tra gli oppressori, se sono sefarditi di origine orientale sono tra gli oppressi. Analoga divisione vige sul piano geostorico: sul versante storico gli ebrei sono le vittime per eccellenza, sul versante geografico in quanto israeliani sono i carnefici per antonomasia. 

E se partecipi ai gruppi di volontari che aiutano immigrati clandestini, poveri e homeless, ti devi sincerare che a guidare il collettivo non sia una bianca, altrimenti è neocolonialismo. Poi dice che uno vota Trump… Ma per forza, per esasperazione. 

Ma tu come lo sai, da quale fonte, da quale blog pieno di fake news hai ricavato questa storiella? Non è farina dei social né mia personale; la fonte è il Corriere della sera di ieri, e l’autore è un noto e credibile giornalista “di sinistra”, Federico Rampini; è lui che ha incontrato la ragazza e ha riportato questa testimonianza.

Il problema, come capite, non riguarda le disavventure di una singola persona malcapitata; è l’orizzonte prevalente negli Stati Uniti e a rimorchio, dell’Occidente intero, Italia inclusa. Noi siamo un paese piccolo, gli Usa ci sovrastano, e come si sa, ci baciano in testa quando siamo allineati; ma sono pronti a schiacciarcela se non la pensiamo come loro. 

Quel clima irrespirabile, che pure il Corriere chiama dittatura, non vige solo nei salotti e nei circoli radical chic di New York ma nelle scuole e nelle università, nei media e nelle istituzioni, nei tribunali e negli uffici, nella comunicazione social e nei rapporti interpersonali; obbligati a norma di legge e di cultura a vergognarsi della nostra civiltà, storia, religione e identità e della nostra pelle. Costretti a sentirsi inferiori, in debito, in penitenza, rispetto a chiunque provenga da altri mondi. E non abbiamo aperto l’altro capitolo della dittatura, quello riguardante l’omofobia, il femminismo, il lessico corretto e il sesso in transito…

La ciliegina sulla torta e insieme il paradosso di questa dittatura è che mentre in casa vige questa legge autolesionista e questa ideologia “vergognista”, poi a livello di politica estera, lo stesso Paese, con gli stessi protagonisti dem, cioè liberal, radical e progressisti, pretende di essere l’Arbitro del mondo e minaccia guerre, armi, interventi e sanzioni dappertutto. 

La dittatura woke, imperniata sul politically correct e la cancel culture, sta distruggendo rapidamente una civiltà che si è formata nei millenni. Se fate attenzione vi accorgete che si sta insinuando velocemente anche da noi, in tema di razzismo, gender e affini; di solito si eludono i divieti o li si accettano passivamente, per furbo quieto vivere, per non affrontarli e criticarli. Ma prima o poi diventeranno soffocanti come una cappa, e saremo anestetizzati. Allora sarà troppo tardi per capire e per reagire.

La Verità – 5 marzo 2024

 

 

lunedì 11 marzo 2024

L’ERRORE DI ABOLIRE LA CROCE

La croce sulla cupola degli Invalides, che nell’immagine delle Olimpiadi diventa una guglia, è l’Europa che recide le proprie radici e ammaina le proprie bandiere? O è l’Europa plurale del nostro futuro? Innanzitutto, quell’immagine è un falso. 

E quando si ricorre scientemente a un falso, è perché abbiamo un problema. La cupola degli Invalides non è un posto qualsiasi; è uno dei luoghi della civiltà europea. Se il Re Sole avesse voluto erigere una guglia anziché una croce, e se Napoleone avesse voluto essere sepolto — o i suoi posteri avessero voluto seppellirlo — sotto un elemento architettonico anziché sotto un simbolo religioso, l’avrebbero fatto. Poi certo quell’immagine ritoccata non parla solo del Re Sole e di Napoleone — per quanto, insomma, non siano due passanti — ma della Francia di oggi, dove vivono cinque milioni di musulmani, duecentomila ebrei, e soprattutto milioni di francesi che non sentono di appartenere alla civiltà cattolica. E lo stesso, sia pure con numeri diversi, vale per tutti i Paesi dell’Europa occidentale.

 

Il manifesto ufficiale
È un tema abbastanza rimosso, che talora ritorna nella vita pubblica come un rimpianto o come un rimorso. Ci fu un tempo in cui la Francia era chiamata la figlia primogenita della Chiesa, perché Clodoveo era stato tra i primi re barbari a convertirsi e farsi battezzare. Erano francesi i crociati che presero Gerusalemme facendo strage di infedeli. Giovanna d’Arco parlava o credeva di parlare con Gesù, in nome della fede si combatterono guerre civili da migliaia e migliaia di morti, dal massacro degli albigesi — e ancora adesso gli storici discutono se il legato pontificio Arnaud Amaury abbia davvero ordinato «uccidete tutti, Dio riconoscerà i suoi» — alla rivolta controrivoluzionaria della Vandea. Lo Stato laico (e massone) della Terza Repubblica bandì i simboli religiosi dai luoghi pubblici; ma il simbolo del generale De Gaulle era la croce di Lorena, e nel 1981 sui poster del socialista Mitterrand compariva il campanile di una chiesa.

Il cattolicesimo francese è sempre stato collocato politicamente a destra, tra i conservatori se non tra i reazionari. Ma nella seconda metà del Novecento questo schema è saltato, grazie a figure carismatiche del cattolicesimo sociale come l’abbé Pierre e intellettuale come Jacques Maritain e Jean Guitton, che Paolo VI chiamava amicalmente Ghittone, italianizzando il suo nome come se fosse un santo o un teologo medievale (ma era francese pure lo scismatico Lefebvre, indignato dalle aperture del Concilio). 

Il cattolicesimo ha avuto i suoi martiri: i frati che si sono fatti uccidere dai nazisti per salvare i bambini ebrei, come padre Jacques de Jésus, che ispirò il film «Au revoir les enfants» (Arrivederci ragazzi) di Louis Malle; i sette monaci di Tibhirine, sgozzati come agnelli dagli islamisti algerini nel 1996, di cui furono trovate le teste ma non i corpi; padre Jacques Hamel invece fu sgozzato sull’altare della sua chiesa presso Rouen, e lo stesso è accaduto a tre fedeli nella cattedrale di Nizza. Quando Nizza divenne francese, per prima cosa vi fu costruita una cattedrale neogotica, sul modello di Notre-Dame di Parigi.

Nel discorso di Capodanno, Macron ha indicato due obiettivi per il 2024: le Olimpiadi e il restauro di Notre-Dame. Ha proprio detto così: «I Giochi sono una volta ogni cent’anni; ma le cattedrali si fondano o si rifondano una volta ogni mille anni». Se però poi abolisci le croci, le cattedrali diventano orgoglio nazionale, non segno spirituale. I rivoluzionari volevano fare di Notre-Dame un tempio alla Dea Ragione; non fu un prete o un Papa, fu uno scrittore romantico, Victor Hugo, a salvarla.

Gli imperatori romani perseguitavano i cristiani anche perché non li capivano: la povertà da disgrazia diventava virtù; e la croce, da simbolo della morte dolorosa e pubblica, diventava simbolo di salvezza. Un conto è imporla; un altro è proporla; un altro ancora è cancellarla. Quasi tutti i Paesi musulmani hanno la mezzaluna nella bandiera; e nessuno chiede loro di rimuoverla. Forse la risposta alle nostre domande viene dal testamento spirituale di uno dei sette monaci di Tibhirine, padre Christian de Chergé, che ha lasciato scritto: «Se mi capitasse un giorno, e potrebbe essere oggi, di cadere vittima del terrorismo, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e all’Algeria; e che sapessero associare questa mia morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato».

Il cristianesimo non è aut-aut, ma et-et; è nell’aggiungere, non nell’elidere. Umanesimo e cristianesimo sono stati a volte in contrasto, a volte legati. 

Abbiamo impiegato secoli per conciliare fede e ragione, spiritualità e diritti umani. Non gettiamo via tutto. Ai Giochi di Parigi ci saranno croci, ci saranno mezzelune; ed è importante che ci sia anche la stella di David.

 ALDO CAZZULLO

Tratto dal Corriere della sera del 6 marzo 2024

 

NdE: Tutto il materiale presente è pubblicato a scopo non lucrativo informativo e/o documentale, in totale buona fede d’uso. Chiunque avesse eccezioni o vantasse diritti di copyright è pregato vivamente di comunicarcelo via mail (crossroadtom42@gmail.com) per un immediato ritiro del materiale.

sabato 9 marzo 2024

IL NUOVO CONFORMISMO CHE CI SOMMERGE

Marcello Veneziani

Intervista a cura di Nathan Greppi del Centro studi Machiavelli per il libro Wokeismo, cancel culture e oicofobia appena edito da Historica edizioni

1) Che differenze ci sono tra il politicamente corretto di oggi e i conformismi sociali delle epoche passate?
 Il conformismo è una tendenza permanente della società ma tradizionalmente attingeva al senso comune e alla necessità di conformarsi al potere civile e religioso dominante. Il nuovo conformismo ha matrice ideologica, finalità correttiva e diffusione mediatica assai più potente. Il carattere più specifico del politicamente corretto è la distorsione della realtà, la maschera che prevale sul volto, il dire che cancella il fare, e l’intimidazione per chi vi si sottrae; il politically correct è un moralismo in assenza di morale, un bigottismo in assenza di religione, un antifascismo in assenza di fascismo.


2) Intervistato a gennaio sul settimanale TPI, ha dichiarato che la sinistra ha sostituito le battaglie degli operai con quelle per i diritti civili. Come è avvenuta questa mutazione nell’anima della sinistra? E quali sono i suoi effetti?
Da una parte il fallimento del comunismo in tutte le sue forme di regime, dall’altra parte il trionfo del capitalismo e del mercato globale, infine la trasformazione della società industriale e operaia in società postindustriale e impiegatizia. L’incrocio di questi tre fattori ha condotto alla perdita dell’anima proletaria, sociale e anticapitalistica della sinistra e alla sostituzione con i diritti soggettivi, le cosiddette diversità, il primato dei diritti sui doveri e dei desideri sui diritti.

La sinistra mantiene la sua struttura conflittuale ma il nemico non è più il capitale, la borghesia, ma il fascismo eterno e la tradizione. Ciò produce una sinistra radical chic, ztl, che conserva della precedente la supponenza e la convinzione di essere lo spirito del mondo e il sale della terra; ma che sposa battaglie civili a favore di minoranze o di popolazioni remote, solitamente contro la maggioranza del proprio paese, il popolo della gente comune, la propria civiltà.

3) Il filosofo inglese Roger Scruton aveva coniato il termine “oicofobia” per identificare l’odio per le proprie radici, specialmente in Occidente. Secondo lei, l’oicofobia costituisce una minaccia? E in cosa si distingue dalla xenofobia?

L’oicofobia, a mio parere, è il rifiuto e il disprezzo di tutto ciò che è nostro, nostrano, che evoca un’identità, un’appartenenza comunitaria, una radice e una tradizione. Quel continuo vergognarsi dei segni, simboli, culture e sentimenti che ci collegano alla nostra terra, al nostro sentire civile e religioso, alla nostra stessa famiglia. L’esatto contrario della xenofobia che è paura dello straniero, del diverso, del lontano e che è una degenerazione del positivo sentimento di appartenenza a una comunità, una civiltà e una polis; una paura che può farsi a sua volta aggressiva.
 

Roger Scruton

4) A suo parere, nel mondo conservatore vi è una consapevolezza dei rischi dovuti alla diffusione del politicamente corretto e dell’oicofobia?
Si, credo che ormai non solo la consapevolezza ma il rifiuto di questo canone artificioso, ideologico, costrittivo, siano assai diffusi e spiccati. Quel che non è invece abbastanza sviluppato è l’elaborazione di un pensiero critico intorno a questa egemonia, e il coraggio intellettuale e civile di contrapporre a questo modello tirannico e irrealistico, un tipo di società che parta da ciò che è reale e naturale, consolidato dalla storia, radicato nel tempo e nel luogo. Il disagio c’è, e anche la rabbia, ma non c’è un’adeguata risposta sia sul piano del ragionamento, sia sul piano della proposta alternativa.

 

giovedì 7 marzo 2024

IL DIRITTO DI UCCIDERE E’ NELLA COSTITUZIONE FRANCESE

 UNA REPUBBLICA FONDATA SULL'ABORTO

Siamo rimasti veramente sbalorditi e amareggiati dalle immagini, trasmesse dalle TV di tutto il mondo, dell’esultanza  dei parlamentari francesi quando è stata approvato l’inserimento del diritto all’aborto nella loro costituzione.


Si tratta dell’evento più grave e più foriero di mutamenti antropologici da quando si ha una conoscenza storica. I Poteri dittatoriali hanno prodotto spesso leggi liberticide, leggi razziali, leggi che mettevano in pericolo la vita delle persone ma nemmeno Stalin e Hitler hanno inserito nella Costituzione dei loro Stati un diritto all’uccisione di innocenti. Un conto è una legge che autorizza l’aborto in determinate situazioni e un altro conto è riconoscere il diritto all’aborto.

La scienza non ha dubbi ad affermare che l’embrione e il feto sono esseri viventi con un proprio e unico patrimonio genetico, e non sono parte del corpo della mamma per cui si possa dire:”il corpo è mio e ne faccio quello che voglio.”

Siamo precipitati negli abissi del male, frutto della libertà che Dio ha dato agli uomini, dal momento in cui la soppressione del più indifeso degli esseri viventi diventa un diritto costituzionale. E questo diritto annullerà altri diritti riconosciuti,come l’obiezione di coscienza. In Italia la legge 194 autorizza l’obiezione di coscienza per coloro che credono nel valore della vita dal concepimento fino alla sua naturale conclusione. In Francia non ci sarà più questa possibilità, perché sancire il diritto in costituzione lo fa diventare assoluto e ciò che rischia di cedere di fronte ad esso è il diritto all’obiezione di coscienza.

Il nostro stupore di cattolici di fronte a un evento così doloroso ci stimola alla preghiera e all’impegno affinché in Europa e nel mondo nessun Paese voglia seguire la Francia in questo percorso.

ARTURO ALBERTI PER IL CROCEVIA


 

mercoledì 6 marzo 2024

IN MARGINE A UN FUNERALE…

1 MARZO 2024 CERIMONIA FUNEBRE PER ALEXEI NAVAL'NY CHIESA DELL'ICONA DELLA MADRE DI DIO A MARYENO, SUD EST DI MOSCA

 


Vi hanno raccontato che Naval’nyj sapeva raccogliere solo giovani e marginali.

Non credetegli: credete a quello che avete visto; e al suo funerale abbiamo visto una folla sterminata di giovani e vecchi, la ragazzina di neanche ventanni e lanziana signora che ne denunciava apertamente novanta. 

Vi hanno raccontato che erano estremisti, partigiani dellateismo e dellimmoralismo occidentale.

Non credetegli: credete a quello che potete leggere e ascoltare; leggete quello che Navalnyj diceva dellodio, della fede e della paura.

In prigione, l11 agosto scorso, scriveva: «Lodio è la cosa principale che bisogna vincere in prigione. Sono tante le ragioni per odiare e la vostra stessa impotenza è un potente catalizzatore dellodio. Quindi, se lo lasciate crescere, vi divorerà e vi consumerà sino alla fine».

Nellimminenza della Pasqua del 2014 diceva che «è la festa della cosa più importante che ci sia. La festa dellinevitabile trionfo del Bene sul male. La festa della speranza. La festa della fede in un futuro migliore».

Della paura, in una foto che resterà nel tempo, abbiamo tutti visto cosa pensava: «Io non ho paura. Non abbiatene neanche voi!».

E nel diario di prigionia, il 2 giugno 2021, scriveva: «Ancora una volta, vorrei ricordarlo a tutti: questo potere disgustoso e bugiardo rimane debole e vigliacco. Continuerà a divorare le persone, una per una, una dopo laltra, per spaventare tutti. Ed è appunto di questi tuttiche ha tremendamente paura. Ma finché questi tutti, che sono forti, lo temono e tacciono rispettando le regole stabilite, il potere non si fermerà. Ingoierà tutto, ancora e ancora. Persone, famiglie, la ricchezza del nostro paese, il nostro futuro. Si nutre della nostra paura. Non alimentatelo!».

Vi faranno dotti discorsi il cui centro sarà esattamente la paura con la quale ogni giorno siamo minacciati, la difesa di una fede che da due anni sta benedicendo una guerra di aggressione, lintolleranza per qualsiasi forma di diversità.

Non credetegli: credete alla sofferenza della gente che, come diceva Oleg Orlov prima di essere condannato, è gettata in prigione e viene uccisa «per aver protestato contro lo spargimento di sangue in Ucraina, per aver voluto che la Russia diventasse uno Stato democratico e florido e non una minaccia per il mondo».

Credete a chi vi implora di capire che potrà iniziare un cammino di riconciliazione solo «quando ci sarà qualcuno che la smetterà di distruggermi».

Credete a chi vi testimonia che «Cristo non vince soltanto il male: ne vince la vittoria»nonostante tutto!

Credete a chi continua a sognare la «bellissima Russia del futuro» e, seppellendo un uomo che non si era sottratto al proprio senso di responsabilità, ancora ieri scandiva: «Il bene avrà sempre la meglio sul male».

La cosa riguarda anche noi, la nostra voglia di credere ai discorsi invece che alla realtà, la nostra voglia di credere al potere che vuole dominare ogni cosa invece che al «miracolo della vita» che ci sorprende sempre.

Adriano Dell’Asta

È docente di lingua e letteratura russa presso l’Università Cattolica. Accademico della Classe di Slavistica della Biblioteca Ambrosiana, è vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana

lunedì 4 marzo 2024

ERO UN ERETICO AL NEW YORK TIMES

 Confessioni-capolavoro di un giornalista: "I colleghi mi chiesero il mio panino preferito. Risposi uno al pollo fritto. Ma era di proprietà di cristiani contrari alle nozze gay. E mi distrussero"

 

“Ripetiamo a pappagallo slogan in cui non crediamo per proteggere i mezzi di sussistenza, come il fruttivendolo di Václav Havel”. Così la giornalista che se ne è andata dal New York Times, Bari Weiss, in un saggio sul giornale tedesco Die Welt. Il riferimento è alla famosa storia di Havel, drammaturgo, dissidente e presidente ceco dopo il comunismo. "Un fruttivendolo espone tra le mele e le carote una frase: ‘Lavoratori di tutto il mondo unitevi’. Perché lo fa? Perché così facendo dichiara la propria fedeltà, nel solo modo che il regime è in grado di recepire, accettando il rituale prescritto e le regole fissate del gioco”. 

Questa era la Cecoslovacchia comunista degli anni Sessanta e Settanta, che Louis Aragon definì “il Biafra della mente” e Heinrich Böll un “cimitero culturale”, per descrivere la sterilità, la persecuzione e il silenzio che le autorità filosovietiche avevano imposto alla vita culturale di Praga

Ecco cosa succede invece nel 2024 nel più blasonato giornale mainstream e liberal (ma non per questo meno ideologicamente servile) se non esponi la frase :

“Woke di tutto il mondo unitevi”.

 

Adam Rubenstein sull’Atlantic di questa settimana ha pubblicato un clamoroso articolo-confessione sotto il titolo di “Ero un eretico al New York Times”:

Adam Rubenstein
“Ero felice che qualcuno come me, con un background di scrittura per pubblicazioni di centrodestra, fosse il benvenuto sul giornale dei record. In uno dei miei primi giorni al New York Times, sono andato a un orientamento con più di una dozzina di altri nuovi assunti. Ho dovuto rispondere a una domanda che mi chiedeva quale fosse il mio panino preferito. Mi è venuto in mente Super Heebster di Russ & Daughters, ma ho pensato che citare un panino da 19 dollari non fosse un ottimo modo per conquistare nuovi amici. Così ho detto: ‘Il sandwich al pollo piccante di Chick-fil-Ae ho pensato di aver rotto il ghiaccio. Il rappresentante delle risorse umane che guidava l’orientamento mi ha rimproverato: ‘Non lo facciamo qui. Odiano i gay’. La gente cominciò a schioccare le dita in segno di acclamazione. Non avevo pensato che Chick-fil-A fosse trasgressivo negli ambienti liberal per l’opposizione del suo presidente al matrimonio gay. ‘Non la politica, il pollo’, ho detto subito, ma era troppo tardi. Mi sono seduto, vergognandomi”.

 

Non è un problema di differenza di idee. Non è neanche appartenenza politica settaria, è piuttosto uno “state of mind”. Al New York Times credono davvero di essere superiori antropologicamente. E questo li ha portati a diventare la bandiera di un politicamente corretto perbenista e censorio, fino al ridicolo. Fino a non voler mangiare il pollo fritto “omofobo”. Un conformismo che accende fuochi fatui e palustri.

Al New York Times puoi decidere che le donne non sono più donne ma “mestruatrici”, puoi stabilire che la parola “black” vuole la maiuscola e “white” il minuscolo, puoi domandarti se l’estinzione del genere umano non sia cosa buona e giusta per il clima o se non sia il caso di “cancellare Aristotele” visto che era a favore della schiavitù. Ma se un giornalista mangia il pollo fritto di un’azienda conservatrice, questo si merita la gogna.

 

A spicy sandwich and ideological battles
Dan Cathy, imprenditore cristiano presidente della catena di fast food Chick-Fil-A, 1614 ristoranti sparsi per gli Stati Uniti con quartier generale in Georgia, a una conferenza aveva dichiarato: “Siamo per la famiglia, secondo la definizione biblica di nucleo familiare. Siamo un’azienda a conduzione familiare e siamo sposati con le nostre prime mogli. Ringraziamo Dio per questo. Siamo disposti a tutto per rafforzare le famiglie”. Non è favorevole al matrimonio gay, insomma. E questo ha scatenato la reazione woke, fino ai sindaci di Chicago e Boston, Thomas Menino e Rahm Emmanuel, che si sono opposti all’apertura di punti vendita nella propria città.

 

Rubenstein, giornalista ebreo conservatore, continua sull’Atlantic ricordando gli editoriali del Times firmati da Moammar Gheddafi, Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin che non hanno prodotto alcuna polemica interna alla redazione. "L'anno scorso abbiamo pubblicato un articolo del sindaco di Gaza City nominato da Hamas e pochi sembravano preoccuparsene", scrive Rubenstein sull’Atlantic. "Hanno pubblicato la difesa del portavoce del Partito comunista cinese, Regina Ip, della repressione omicida della Cina sulle proteste a favore della democrazia a Hong Kong e un articolo di un leader dei Talebani, Sirajuddin Haqqani (nella cui casa è stato ucciso il leader di al Qaeda Ayman al-Zawahiri). Nessuno di questi ha suscitato scalpore.

Ma se il giornale sia disposto a pubblicare opinioni conservatrici su questioni politiche controverse, come il diritto all'aborto e il Secondo Emendamento, rimane una questione aperta. ‘Lo Stato di Israele mi mette molto a disagio’, mi ha detto una volta un collega. Questo era qualcosa che ero abituato a sentire dai giovani progressisti nei campus universitari, ma non al lavoro. C’era la sensazione che pubblicare occasionalmente voci conservatrici facesse sembrare il giornale centrista. Ma presto mi sono reso conto che le voci conservatrici che pubblicavamo tendevano ad essere d’accordo con la linea liberal".

The New York Times for Kids section often
pushes LGBTQ ideology to children.

Una vota la stampa in Occidente si permetteva il lusso della libertà, si avventurava dove non si aspettava di trovare la verità, metteva in discussione l’ufficialità socialmente accettata, ora questo compito sembra essere stato delegato a pochi superstiti di quello spirito d’avventura oltre la coltre del conformismo che, invariabilmente, pagano un prezzo molto alto. D’altronde, la libertà non è un pasto gratis…

(…)

Dal Guardian anche Hadley Freeman se ne è dovuta andare in quanto “bigotta”. Freeman aveva criticato, da donna, il transgender. L’uomo del meteo di France 2 (l’equivalente di Rai 1), Philippe Verdier, è stato cacciato dalla televisione di Stato per aver scritto un libro sui cambiamenti climatici, denunciando molte tesi assurde di “allarmisti” e “catastrofisti”. 

Wolfgang Wagner, direttore della rivista Remote Sensing, si è dimesso dopo un articolo che metteva in dubbio il cambiamento climatico provocato dall'uomo e secondo cui i modelli computerizzati del clima hanno gonfiato le proiezioni dell'aumento della temperatura. 

Jonathan Bradley è stato cacciato da un giornale studentesco per aver difeso idee cattoliche sull’omosessualità e il gender.

Ian Buruma
Il direttore della New York Review of Books, il liberal Ian Buruma, che ha pubblicato libri in Utalia anche con Einaudi e Mondadori, è caduto per aver pubblicato un articolo critico del Me Too.

Si è dimesso dal New York Magazine Andrew Sullivan, dopo che non gli hanno pubblicato un articolo contro Black Lives Matter. David Mastio era vice redattore della pagina degli editoriali di USA Today (il più venduto giornale d’America), fino a quando ha “peccato” per aver definito l'idea che gli uomini possano rimanere incinti un’“opinione”.

 Il quotidiano scozzese di sinistra West Highland Free Press ha cacciato un giornalista e un editorialista per aver osato scrivere di Islam. E Tara Henley, una delle più note giornaliste canadesi, si è dimessa dalla dalla tv pubblica dopo averla accusata di costringere i dipendenti ad “aderire con entusiasmo a un'agenda radical”.

 

“Non la politica, il pollo”. Che slogan fantastico, degno di Havel e del rinoceronte di Ionesco, e che andrebbe stampato in fronte a tutti i fanatici woke e sotto alla testata di tutti i quotidiani italiani.

Anche se è una di quelle famose speranze che sono le ultime a morire ma che, infallibilmente, muoiono, in questo “Biafra woke” che sembra essere diventato l’Occidente.

 tratto da  Newsletter di Giulio Meotti.  Invitiamo a leggerla e a valutare un abbonamento