mercoledì 27 novembre 2013

UNA FARSA CHIAMATA GIUSTIZIA


Una mostruosa macchinazione giudiziaria espropria la democrazia italiana e lo Stato di diritto del suo significato


Sono piuttosto un realista che un apocalittico. Ma ora bisogna dirla tutta. Una mostruosa macchinazione giudiziaria espropria la democrazia italiana e lo Stato di diritto del suo significato.

 
Nessuno può tirarsi fuori dal giudizio. Nessuno può rifugiarsi, come fossero uno schermo neutrale, tecnico, dietro le surreali condanne nei processi Ruby1 e Ruby2 o al riparo delle procedure dell'accusa nell'imminente Ruby3 ovvero la devastante pretesa dei pm di Milano di estendere all'imputato e alla sua intera difesa, testimoni e avvocati, le accuse di ostruzione della giustizia e falsa testimonianza. Se c'è ancora un'Italia autentica e sensibile alla verità nell'opinione pubblica, nelle istituzioni, nella politica anche la più faziosa, è il momento che si levi una protesta forte e chiara contro una delle più infami vergogne della storia nazionale.

Berlusconi ha dato delle feste in casa sua, ha invitato delle ragazze e degli amici, gli amici lo hanno aiutato a comporre il suo harem burlesque, il suo privato divertimento, condividendolo. Berlusconi è notoriamente ricco e generoso, fa regali da sempre a destra e a manca, senza distinzione di rango, e con il circuito delle sue feste è stato come spesso gli succede regale e sciupone senza remore o rimorsi. Ha fatto una telefonata in questura, inopportuna sotto il profilo protocollare ma non concussiva, gentile e in prima persona, allo scopo di evitare a una delle sue ospiti la consegna a una comunità. Anche per disinnescare lo scandalo dovuto alla esibizione forzata del suo privato, ha inventato balle giocose, come quella della nipote di Mubarak. Bene. Queste sono tutte cose che rientrano nella dimensione privata, criticabile quanto a comportamento politico e civile di un uomo di governo e di Stato, ma non criminalizzabile.

Invece quel che ne è seguito, con mezzi d'indagine e una vocazione guardona e origliatrice da Stato di polizia, è precisamente la trasformazione di peccadillos da scapolo abbiente e da re di Arcore in reati infamanti che comportano anni e anni di galera. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. A dimostrare che al di là di ogni ragionevole dubbio siamo invece in presenza di reati penali da punire con la massima severità: regali alle ragazze e agli amici e una raccomandazione a un gentile funzionario di Questura da scambiare con anni di galera. A dimostrare che abbia un qualche senso una condanna per atti sessuali prostitutivi quando di questi atti non esiste prova alcuna, mentre nelle stesse motivazioni della condanna si dice bellamente che non è quello il problema, palpeggiamento in più o in meno. Sfido chiunque a dimostrare che sia parte di uno Stato di diritto e delle sue garanzie un tribunale che condanna su queste basi effimere e ambigue e poi trasforma gli atti difensivi, rinviandoli ai pm perché istruiscano nuovi processi, in un nuovo capo d'accusa a raggiera, una retata potenziale di testimoni che si trovano così in una pesante situazione di condizionamento e di pressione: o ammetti di essere stato un falso testimone e di aver collaborato con un'azione di inquinamento del processo oppure ti becchi la galera anche tu.

Una gigantesca gogna ha devastato l'immagine pubblica di un capo democratico, di un uomo della democrazia rappresentativa, un leader che ha vinto tre volte le elezioni e ha governato il Paese secondo le regole, altro che storie, ritirandosi in buon ordine anche quando avrebbe avuto diritto al suo appello al popolo che lo aveva stravotato nelle urne del 2008 (novembre 2011). Questo non è un caso personale, da tenere distinto dal resto, cioè dalla stabilità di governo (che palle che ci raccontano sul semestre europeo) o da qualunque altra circostanza. Se la democrazia sanguina, se si insinua un dubbio di fondo sul suo funzionamento imparziale, perché gli atti di giustizia si trasformano in una persecuzione personale, qualunque sia il giudizio sul perseguitato, sui suoi errori, e anche sulle sue colpe o sui suoi peccati, non si può dormire tranquilli.

Non tutti in questo Paese hanno bevuto la leggenda nera di Andreotti mafioso, di Craxi spolpatore delle finanze pubbliche per avidità, del doppio Stato reo di stragi infinite e di trattative collusive con i poteri criminali. Molti tra coloro che pure hanno combattuto per le loro idee e contro le classi dirigenti della vecchia Repubblica, e hanno mantenuto la loro autonomia di giudizio nella situazione che seguì alla sua caduta, hanno cercato di esercitare il giudizio critico sull'unico potere che da almeno vent'anni si considera al di sopra delle parti mentre agisce come parte in causa in una lunga guerra ideologica, quello dell'accusa penale. Questi italiani che non hanno portato il cervello all'ammasso dello spirito forcaiolo si facciano sentire. E anche i capi delle istituzioni, prima di tutti il garante della Costituzione e capo della magistratura, il presidente della Repubblica, non possono tirarsi fuori dal dovere di intervento e di correzione della grave stortura che si è prodotta.

Esprime il peggio della cosiddetta ideologia italiana, viltà maramaldesca, chi oggi si volta dall'altra parte, chi mette la propria antipatia e inimicizia politica verso Berlusconi, o anche soltanto la voglia di quieto vivere, davanti al dovere di giudicare una ignobile messinscena chiamata giustizia.

 

giovedì 21 novembre 2013

L'IDEOLOGIA DEI VETERO COMUNISTI VUOLE UN PRETE IN MENO


Censurano pure la mostra su Rolando Rivi

di Andrea Zambrano21-11-2013
lanuovabq


«Quella mostra infanga la Resistenza». Così la scuola elementare di Rio Saliceto (Reggio Emilia) ha dovuto sospendere le visite programmate alla mostra sul Beato Rolando Rivi esposta in questi giorni nei locali della parrocchia del comune della Bassa reggiana. Coincidenze: la scuola primaria di Rio è intitolata ad Anna Frank, una delle più cristalline martiri della furia omicida nazista.

E forse il simbolo dell'innocenza perduta della Seconda Guerra Mondiale. E Rolando Rivi è con Anna Frank un simbolo della violenza delle ideologie e dei totalitarismi del '900. Ma ci sono simboli e simboli. Al neo beato, ucciso dai partigiani comunisti sul finire della guerra e beatificato da Papa Francesco perché martire in odio alla fede, per farsi accettare dal mainstream culturale, deve servire più tempo.

Lo dimostra il fatto che nessuno si aspettava che la mostra voluta dal parroco don Carlo Castellini per celebrare la beatificazione di Rivi, suscitasse tanto scandalo. Sotto accusa il pannello «domani un prete di meno», nel quale la mostra raggiunge il suo clou con la narrazione, ad usum infante, dell'uccisione da parte dei partigiani comunisti.

La cosa non è piaciuta ad alcuni genitori che hanno visionato la mostra e l'hanno ritenuta non adatta all'educazione del propri figli. «Infanga la Resistenza e i partigiani». Così hanno così chiesto al parroco di togliere il pannello incriminato. Don Castellini ha opposto un netto rifiuto: la mostra è così, se non piace pazienza, ma non si può cambiare. La scuola però aveva già richiesto l'autorizzazione dei genitori a partecipare alla visita.

Una visita che si sarebbe dovuta svolgere anche in questi giorni all'interno dell'ora di religione, a scanso di equivoci e dunque filtrando già non tutta la popolazione scolastica, ma solo chi ha optato per l'insegnamento della religione cattolica.

Niente da fare: la protesta dei genitori, esternata alle maestre ha raggiunto il suo apice con l'interessamento della preside, che ha deciso di fermare tutto per poter visionare in prima persona i pannelli della mostra inaugurata al Meeting di Rimini da un'idea del biografo di Rolando Rivi, il giornalista e scrittore Emilio Bonicelli.

Delusi gli altri genitori che ora si sono sentiti discriminati e avevano accettato di buon grado l'idea di far vedere ai loro figli la storia per immagini del martirio di Rolando Rivi. La preside ha visionato la mostra è alla fine ha emesso il suo giudizio. Paradossale. «La visita alla mostra viene annullata per ragioni didattiche per l'impossibilità di contestualizzare dal punto di vista storico e didattico la mostra».

La dirigente al telefono con La Nuova Bussola Quotidiana ha anche aggiunto che «a studiare quel periodo storico le scuole elementari non arrivano». Paradossale e a tratti grottesco dato che la scuola è dedicata ad Anna Frank e che nelle scuole elementari la Seconda Guerra Mondiale è studiata ampiamente.

Ma evidentemente la paura di uscire dal seminato del politicamente corretto ha preso il sopravvento e gli strepiti di pochi genitori, alcuni dei quali eletti democraticamente nelle file del Pd locale, hanno avuto la meglio su una maggioranza silenziosa di genitori che ora si sentono presi in giro dalla scuola.

Resta il fatto che quella frase "domani un prete in meno" fa parte della storia ormai, essendo parte integrante della vicenda non solo storica di Rivi, ma anche giudiziaria, su cui una sentenza della Cassazione della Repubblica italiana ha messo la parola fine 50 anni fa attribuendo la sua uccisione ad opera di partigiani comunisti in odio alla fede.

La beatificazione e il culto sarebbero arrivati molto dopo. Così come le recenti richieste di perdono espresse dal presidente dei partigiani reggiani Giacomo Notari. Ma nell'Emilia rossa evidentemente certi aggiornamenti non sono ancora arrivati.

La vicenda mostra chiaramente come la scuola pubblica italiana stia rinunciando anche alla propria storia e al fondo alla propria identità.

martedì 19 novembre 2013

MAURIZIO LUPI : LE RAGIONI DELLA MIA SCELTA


 
CARI AMICI
 
vi scrivo per spiegarvi le ragioni della nostra scelta - mia, di Angelino Alfano e di tanti altri eletti del Pdl - di non aderire alla nuova Forza Italia.

È stata una decisione sofferta, ma alla fine obbligata. Sino all’ultimo istante abbiamo lavorato per evitare strappi e scissioni.
Per quanto mi riguarda credevo proprio che non ci si arrivasse e ho fatto il possibile per scongiurarlo. Vent’anni di storia politica e umana in Forza Italia e nel Popolo della libertà a fianco del presidente Berlusconi, da assessore della prima giunta Albertini a Milano, da deputato, da vicepresidente della Camera, da responsabile organizzativo del Pdl e infine da ministro, non si cancellano in un pomeriggio. 
Oggi si parla tanto di lealtà: io sono e resto leale con questa storia, con chi l’ha iniziata e guidata, con i suoi valori, le sue battaglie politiche, con la responsabilità sempre manifestata nei confronti degli interessi del Paese prima di qualsiasi pur legittimo interesse del partito.

In nome di questa responsabilità ad aprile, dopo aver preso tutti, centrodestra e centrosinistra, una sonora sberla dagli italiani, e dopo aver perso inutilmente due mesi nei quali Bersani cercava maggioranze impossibili, Berlusconi propose la rielezione di Giorgio Napolitano a presidente della Repubblica e il governo di larghe intese, con un tempo e un programma determinati per portare il Paese fuori dalla crisi economica, diminuendo la pressione fiscale e facendo le dovute riforme, elettorale e istituzionale, che i cittadini ci chiedono da tempo.
Questo è il mandato del governo in cui il presidente Berlusconi ci ha indicati come ministri del Popolo della libertà. Dicendo fin dall’inizio, e ripetendolo ancora il 2 ottobre in occasione del rinnovato voto di fiducia al Senato, che la sua vicenda giudiziaria - che tutti noi consideriamo un’ingiustizia a cui ci opporremo - non doveva interferire con questo compito e questa responsabilità.

Venerdì 15 novembre io e gli altri quattro ministri del Pdl siamo andati dal presidente Berlusconi solo per chiedergli di ribadire quanto aveva detto il 2 ottobre: votare la sua decadenza applicando in modo retroattivo la legge Severino è un’ingiustizia contro cui ci batteremo con forza, una battaglia sacrosanta contro l’uso politico della giustizia il cui esito però non può mettere in pericolo il Paese in un momento grave come quello che sta attraversando, il governo deve andare avanti anche in caso di decadenza del presidente Berlusconi.
Abbiamo chiesto che queste sue parole venissero inserite nel documento da presentare al Consiglio nazionale del giorno dopo, insieme a un passaggio che riguardava la vita democratica del nuovo partito, assicurata, sotto la sua guida, dalla nomina di due o tre coordinatori espressione delle diverse sensibilità e culture emerse nel dibattito di questi mesi.

Siamo usciti da Palazzo Grazioli d’accordo con Berlusconi sulla convocazione di un nuovo Ufficio di presidenza che ratificasse queste due modifiche. Che cosa sia successo in seguito non lo so. So che dopo un’ora ci è stato comunicato che non c’era possibilità di riunire l’Ufficio di presidenza.
Solo dopo questa ultima ed ennesima riprova che il nostro partito ha ormai assunto una deriva estremista, abbiamo deciso di costituire gruppi autonomi alla Camera e al Senato.

Val la pena ricordarlo, Forza Italia e il Pdl sono nati per unire e rappresentare i moderati, che sono la maggioranza in questo Paese. La nuova Forza Italia si è affidata a persone dai toni e dai metodi estremistici.
Io posso stare in un partito che insulta le istituzioni? Posso stare in un partito che si è dimenticato del merito nella selezione della sua classe politica, basta essere falchi, senior o baby non importa? Posso stare con chi chiama all’unità intorno a Berlusconi perché “lui ha i voti”? Sono stato con Berlusconi per la sua proposta politica, per il suo carisma, per la sua capacità di unire la gente intorno a un progetto che metteva in primo piano la moralità del fare, per le sue battaglie che ponevano fine alla sudditanza ideologica nei confronti della sinistra, non perché “aveva i voti”.
La politica è un rischio in prima persona con la propria faccia, le proprie idee e tutte le proprie energie, non l’accucciarsi dietro a chi “ha i voti”.

Il Nuovo centrodestra nasce per questi motivi.
La nostra scommessa, non priva di rischi, è quella di costruire un nuovo grande partito di centrodestra, non cerchiamo fusioni con centri o centrini, tentativi sui quali gli elettori hanno già detto come la pensano. Un centrodestra espressione dei moderati, che faccia della responsabilità, della moralità del fare, della sussidiarietà, della battaglia per una giustizia giusta, del merito, del sostegno alle forze creative del paese il suo programma. Un partito con questa identità può avere la capacità e la credibilità per tessere alleanze nell’area alternativa alla sinistra.

“Io amo l’Italia” è quello che più volte in questi anni ci ha detto il presidente Berlusconi. Oggi è venuto il momento di dimostrare che questi venti anni di stoprogetto in modo diverso. E spero di poterlo fare insieme a tanti di voi e a tanti altri che in questi anni ci hanno abbandonato e che speriamo di riconquistare.
Abbiamo un grande compito davanti a noi: testimoniare ria possono e devono avere un grande futuro.
Lo dobbiamo al presidente Berlusconi, ma innanzitutto lo dobbiamo alla ragione per cui ognuno di noi in questi anni lo ha seguito.

Da oggi daremo il nostro contributo al suo che l’Italia è un grande Paese e che usciremo tutti insieme dalla crisi a testa alta.
Lo dobbiamo alle tante imprese che hanno chiuso, alle tante persone che hanno perso il lavoro, ma anche ai tanti che ancora oggi ogni giorno sono la spina dorsale viva e vera dell’Italia.

Un abbraccio forte



IL PROGRESSISMO ADOLESCENZIALE


Non accettate ordini dal secolo

Identità e tradizione non sono parole vuote. Il progressismo adolescenziale svende il cuore della fede al secolo e allo spirito del mondo. No al pensiero unico. Mai così chiaro il Papa Francesco S. I.
L'OMELIA DI IERI DEL PAPA A SANTA MARTA

C’è un’insidia che percorre il mondo. E’ quella della “globalizzazione dell’uniformità egemonica” caratterizzata dal “pensiero unico”, attraverso la quale, in nome di un progressismo che poi si rivela adolescenziale, non si esita a rinnegare le proprie tradizioni e la propria identità. Quello che ci deve consolare è che però davanti a noi c’è sempre il Signore fedele alla sua promessa, che ci aspetta, ci ama e ci protegge. Nelle sue mani andremo sicuri su ogni cammino. E’ questa la riflessione proposta da Papa Francesco lunedì mattina, 18 novembre, durante la messa a Santa Marta. Con lui ha concelebrato l’arcivescovo Pietro Parolin, segretario di stato, che oggi ha iniziato il suo servizio in Vaticano.

Il Pontefice ha avviato la sua riflessione commentando la lettura tratta dal primo libro dei Maccabei (1,10-15; 41-43; 54-57; 62-64) “una delle pagine più tristi nella bibbia” ha commentato, dove si parla di “una buona parte del popolo di Dio che preferisce allontanarsi dal Signore davanti a una proposta di mondanità”. Si tratta, ha notato il Papa, di un tipico atteggiamento di quella “mondanità spirituale che Gesù non voleva per noi. Tanto che aveva pregato il Padre affinché ci salvasse dallo spirito del mondo”.
Questa mondanità nasce da una radice perversa, “da uomini scellerati capaci di una persuasione intelligente: “Andiamo e facciamo alleanza con i popoli che ci stanno intorno. Non possiamo essere isolati” né fermi alle vecchie nostre tradizioni. “Facciamo alleanze perché da quando ci siamo allontanati da loro ci sono capitati molti mali”. Questo modo di ragionare, ha ricordato il Papa, fu considerato buono tanto che alcuni “presero l’iniziativa e andarono dal re, a trattare con il re, a negoziare”. Costoro, ha aggiunto, “erano entusiasti, credevano che con questo la nazione, il popolo d’Israele sarebbe diventato un grande popolo”. Certo, ha notato il Pontefice, non si posero il problema se fosse più o meno giusto assumere questo atteggiamento progressista, inteso come un andare avanti a ogni costo. Anzi essi dicevano: “Non ci chiudiamo. Siamo progressisti”. E’ un po’ come accade oggi, ha notato il vescovo di Roma, con l’affermarsi di quello che ha definito “lo spirito del progressismo adolescente” secondo il quale, davanti a qualsiasi scelta, si pensa che sia giusto andare comunque avanti piuttosto che restare fedeli alle proprie tradizioni. “Questa gente – ha proseguito il Papa tornando al racconto biblico – ha trattato con il re, ha negoziato. Ma non ha negoziato abitudini… ha negoziato la fedeltà al Dio sempre fedele. E questo si chiama apostasia. I profeti, in riferimento alla fedeltà, la chiamano adulterio, un popolo adultero. Gesù lo dice: “generazione adultera e malvagia” che negozia una cosa essenziale al proprio essere, la fedeltà al Signore. Forse non negoziano alcuni valori, ai quali non rinunciano; ma si tratta di valori, ha notato il Pontefice, che alla fine sono talmente svuotati di senso da restare soltanto “valori nominali, non reali”.

Ma di tutto questo poi si pagano le conseguenze. Riferendosi al racconto biblico il Pontefice ha ricordato che presero “le abitudine dei pagani” e accettarono l’ordine del re che “prescrisse che nel suo regno tutti formassero un solo popolo e che ciascuno abbandonasse le proprie usanze”. E certamente non si trattava, ha detto il Papa, della “bella globalizzazione” che si esprime “nell’unità di tutte nazioni” che però conservano le proprie usanze. Quella di cui si parla nel racconto è invece la “globalizzazionedell’u

niformità egemonica”. Il “pensiero unico frutto della mondanità”.
Dopo aver ricordato le conseguenze per quella parte del popolo d’Israele che aveva accettato questo “pensiero unico” e si era lasciato andare a gesti sacrileghi, Papa Francesco ha sottolineato che simili atteggiamenti si riscontrano ancora “perché lo spirito della mondanità anche oggi ci porta a questa voglia di essere progressisti, al pensiero unico”. Anzi: come capitava allora, quando chi era trovato in possesso del libro dell’alleanza veniva condannato a morte, succede così anche oggi in diverse parti del mondo “come abbiamo letto sui giornali in questi mesi”.

Negoziare la propria fedeltà a Dio è come negoziare la propria identità. E a questo proposito il Pontefice ha ricordato il libro “Il padrone del mondo” di Robert Hugh Benson, figlio dell’arcivescovo di Canterbury Edward White Benson, nel quale l’autore parla dello spirito del mondo e “quasi come fosse una profezia, immagina cosa accadrà. Quest’uomo, si chiamava Benson, si convertì poi al cattolicesimo e ha fatto tanto bene. Ha visto proprio quello spirito della mondanità che ci porta all’apostasia”. Farà bene anche a noi, ha suggerito il Pontefice, pensare a quanto raccontato dal libro dei Maccabei, a quanto è accaduto, passo dopo passo, se decidiamo di seguire quel “progressismo adolescenziale” e fare quello che fanno tutti. E ci farà bene anche pensare a quanto è accaduto dopo, alla storia successiva alle “condanne a morte, ai sacrifici umani” che ne sono seguiti. E chiedendo “voi pensate che oggi non si fanno sacrifici umani?”, il Papa ha risposto: “Se ne fanno tanti, tanti. E ci sono delle leggi che li proteggono”.

Quello che ci deve consolare, ha concluso il Pontefice, è che “davanti al cammino segnato dallo spirito del mondo, dal principe di questo mondo”, un cammino di infedeltà, “sempre rimane il Signore che non può rinnegare se stesso, il fedele. Lui sempre ci aspetta; lui ci ama tanto” ed è pronto a perdonarci, anche se facciamo qualche piccolo passo su questo cammino, e a prenderci per mano così come ha fatto con il suo popolo diletto per portarlo fuori dal deserto.

 

LE PAROLE CHIARE DI BERGOGLIO


 
Al presidente della commissione per i laici della conferenza episcopale argentina, Justo Carbajales
Caro Justo

La commissione episcopale per i laici della conferenza episcopale argentina, nell’esercizio della libertà propria di tutti i cittadini, ha preso l’iniziativa di organizzare una manifestazione contro la possibile approvazione di una legge sul matrimonio fra persone dello stesso sesso, riaffermando nel contempo la necessità che ai bambini sia riconosciuto il diritto ad avere un padre e una madre, necessari per la loro crescita ed educazione. Con questa lettera desidero dare il mio appoggio a questa espressione di responsabilità del laicato.

So, perché me lo avete detto, che non sarà un evento contro nessuno, perché non vogliamo giudicare quanti pensano e sentono in modo diverso. Senza dubbio, più che mai, di fronte al bicentenario [dell’Argentina] e con la certezza di costruire una nazione che deve includere la pluralità e la diversità dei suoi cittadini, sosteniamo chiaramente che non si può considerare uguale quello che è diverso e che in una convivenza sociale è necessario accettare le differenze.

Non si tratta di una questione di semplice terminologia o di convenzioni formali relative a una relazione privata, ma di un vincolo di natura antropologica. L’essenza dell’essere umano tende all’unione dell’uomo e della donna come realizzazione reciproca, come attenzione e cura, come cammino naturale verso la procreazione. Questo conferisce al matrimonio la sua elevatezza sociale e il suo carattere pubblico. Il matrimonio precede lo Stato ed è la base della famiglia, che è cellula della società precedente a ogni legislazione e precedente perfino alla Chiesa. Da questo deriva che l’approvazione del progetto di legge in discussione significherebbe un reale e grave regresso antropologico.

No, il matrimonio di un uomo e di una donna non è la stessa cosa dell’unione di due persone dello stesso sesso. Distinguere non è discriminare, al contrario è rispettare. Differenziare per discernere è valutare in modo proprio, non è discriminare. In un’epoca in cui si insiste tanto sulla ricchezza del pluralismo e della diversità culturale e sociale, è davvero contraddittorio minimizzare le differenze umane fondamentali. Un padre e una madre non sono la stessa cosa. Non possiamo insegnare alle future generazioni che è la stessa cosa prepararsi a un progetto di famiglia assumendo l’impegno di una relazione stabile tra uomo e donna e convivere con una persona dello stesso sesso.

Stiamo attenti a che, cercando di mettere davanti un preteso diritto degli adulti che lo nasconde, non ci capiti di lasciare da parte il diritto prioritario dei bambini – gli unici che devono essere privilegiati – a fruire di modelli di padre e di madre, ad avere un papà e una mamma.

Ti affido un incarico: da parte vostra, nel linguaggio ma anche nel cuore, non ci siano aggressività e violenza contro nessun fratello. I cristiani si comportano come servitori di una verità, non come suoi padroni. Prego il Signore che con la sua mansuetudine – quella mansuetudine che chiede a tutti noi – vi accompagni nell’evento.

Ti chiedo per favore di pregare e far pregare per me. Che Gesù ti benedica e che la Vergine Santa ti custodisca.

Fraternamente,

Card. Jorge Mario Bergoglio s.j., arcivescovo di Buenos Aires
La lettera è del 2010

venerdì 15 novembre 2013

L'IDEOLOGIA DEL GENDER


Dall’emergenza educativa all'allarme educativo

15-11-2013 lanuovabq



Chagall Il mondo sottosopra
 Le notizie che giungono dal fronte dell’educazione ci dicono che un grande cambiamento è in atto rispetto a quanto ormai siamo soliti chiamare “emergenza educativa”. Il primo a parlare di emergenza educativa è stato, come si ricorderà, Benedetto XVI. Il 21 gennaio 2008, nella Lettera alla diocesi di Roma sui problemi dell’educazione, egli disse che le difficoltà ad educare da parte della famiglia, della scuola e della società intera derivano dal fatto che non si sa più chi educare e a cosa educare. Derivano da «una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Diventa difficile, allora, trasmettere da una generazione all'altra qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita».

Ora, l’accelerazione dei fenomeni di degenerazione nell’educazione ha superato questa visione. Il fronte dell’emergenza educativa è ormai diventato un altro, al punto che bisogna ormai parlare di nuova emergenza educativa o, meglio, di allarme educativo.

Il fatto nuovo è stata l’irruzione dell’ideologia del gender nell’educazione, soprattutto nelle scuole.
La Francia, dopo l’approvazione della “Charte de la laïcité” predisposta dal ministro Peillon, si prepara ad introdurre nei licei, a partire dal 2015, un’ora di insegnamento di “morale laica”. Lo Stato impone una propria religione civile ed una propria etica pubblica tese a riplasmare i cittadini, secondo gli insegnamenti di Rousseau.

In Italia, la “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, elaborata dal Ministero per le pari opportunità e dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali a difesa delle differenze), sta producendo i suoi effetti nelle scuole: i corsi per docenti sono impostati secondo l’ideologia del gender. A ciò contribuisce la RE.A.DY, la Rete delle pubbliche amministrazioni contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere, che fornisce sostegno e patrocinio. Sul piano locale c’è una collaborazione educativa ideologicamente orientata tra aziende sanitarie locali, comuni, scuole statali e associazioni Lgbt.

Il governo attualmente in carica in Italia ha approvato un decreto, approvato in via definitiva dal Parlamento, che destina risorse per 10 milioni di euro nel 2014 per la formazione dei docenti al «superamento degli stereotipi di genere».

La legge cosiddetta sull’omofobia, già approvata alla Camera ed ora in discussione al Senato, se approvata, creerebbe un quadro di intolleranza ideologica e, insieme alla legge suddetta, stabilirebbe nella scuola un clima culturale di completa estromissione della famiglia. Diventerebbe impossibile educare alla famiglia naturale.

Un ulteriore allarme deriva da come viene attuata l’educazione sessuale nelle scuole italiane. Prevale un pensiero unico basato su contraccezione e aborto a cui ora si aggiunge l’ideologia gender. Nel Discorso al Corpo diplomatico del 10 gennaio 2011, Benedetto XVI aveva detto: «Proseguendo la mia riflessione, non posso passare sotto silenzio un'altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un'antropologia contraria alla fede e alla retta ragione».
 
Comincia anche ed esserci un allarme libri di testo. Durante la discussione alla Camera del Parlamento italiano del suddetto decreto scuola, il governo ha fatto proprio un ordine del giorno che introduce il rispetto del codice delle pari opportunità nei libri di testo. In Francia c’è già stato un grande dibattito negli anni scorsi che tuttora continua, ma la cosa comincia a preoccupare seriamente anche in Italia. Questo è sempre stato un problema, data la forte caratterizzazione ideologica di molti libri che si usano nella scuola italiana, ma ora la cosa si fa allarmante in quanto i manuali scientifici sempre più veicolano una pseudoscienza del gender.

La nascita di scuole materne in cui bambini e bambine non sono aiutati a coltivare correttamente la propria identità sessuata, ma educati in modo “neutro” in attesa che siano loro, in futuro, a scegliere; la diffusione di favole per bambini o di spettacoli e sceneggiati per le scuole in cui il naturale approccio alla diversità sessuale viene stravolto in base alla nuova ideologia gender; la pianificazione centralizzata da parte dei governi di una educazione sessuale praticata in modo discutibile fin dai primissimi anni di vita,  come previsto dagli orientamenti dell’OMS-Europa , tutto questo getta una luce molto inquietante sulla educazione dei nostri figli, davanti a cui nessuno può ritenere di poter tacere.

Questi fenomeni hanno trasformato l’emergenza educativa in allarme educativo. Non si tratta più solo di non sapere chi sia l’uomo da educare, il fatto nuovo è che lo si sa benissimo. Non ci si astiene dall’educare, abbandonando i bambini e i giovani a se stessi, ma si agisce attivamente per educare contro natura. Non ci si limita a prescindere dalla natura umana, la si vuole trasformare e ri-creare.

Lo smarrimento educativo, la fiacchezza, lo sconforto di tanti educatori, che Benedetto XVI ha descritto benissimo parlando dell’emergenza educativa nella Lettera del 2008, oggi è qualcosa di ben più grave: si rischia l’accondiscendenza passiva ad una contro-educazione. Ed infatti, i gravissimi casi che abbiamo nominato sopra, non hanno visto grandi proteste o levate di scudi, se non quelle di alcune agenzie di informazione e di associazioni che si stanno faticosamente mobilitando.

Davanti a questa nuova situazione, il nostro Osservatorio fa tre riflessioni.

La prima è che si ripropone in modo nuovo il problema della concreta libertà di educazione. E’ questo un argomento che di solito emerge solo in situazioni di difficoltà economica delle scuole non statali. Il popolo cattolico deve sentire in profondità l’importanza formidabile di questa libertà e venire adeguatamente educato a sentirla. Il fronte laico lo considera un terreno pericoloso. Davanti ai pericoli gravissimi che l’allarme  educativo fa trapelare, la lotta per la libertà di educazione deve essere posta in primo piano e condotta con costanza e consapevolezza. I genitori stanno perdendo la possibilità di educare i loro figli non su cose di marginale importanza ma sulla identità della natura umana.

La seconda osservazione è che siamo davanti ad una logica a suo modo coerente e rigorosa. In molti pensano che possa darsi una laicità moderata ed aperta. Ma davanti a questi fenomeni, che ormai interessano non solo le nazioni rette da sistemi “giacobini”, ma anche quelle caratterizzate in origine o in passato da un rispettoso equilibrio tra politica e religione, si constata che la moderazione può anche darsi in via temporanea e in alcune contingenze, ma che, una volta eliminato Dio dalla pubblica piazza, si procede coerentemente con l’eliminazione dell’umano. E’ una secolarizzazione sempre più esigente e aggressiva, che spesso invece viene scambiata per semplice laicità.

La terza osservazione è di invito alla mobilitazione. I cattolici, come del resto ogni persona emancipata dalle sirene del proprio tempo, non possono girarsi dall’altra parte. Si tratta, in questo caso, di una grande testimonianza di carità che ci viene richiesta. Sì, di carità e non solo di verità.  


                                              Osservatorio Cardinale Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa

LA ESPOSA PROHIBIDA


di Costanza Miriano per Il Foglio

Lunedì mattina presto vengo svegliata da una telefonata. Appesa al nespolo del giardino – in casa mia non c’è campo – cerco di elaborare pensieri compiuti. Una giornalista molto agitata mi chiede in spagnolo di spiegarle cosa sia la sottomissione, possibilmente in meno di due minuti. Mentre cerco di capire chi sono (sono quella che ha scritto Sposati e sii sottomessa, ma soprattutto sono una in sottoveste appesa a un albero), provo a fare una recensione del mio libro in centoventi secondi. So che è uscito in Spagna, ma non ho altre notizie in merito. Dopo quella, un’altra telefonata, e un’altra e un’altra. Una decina tra tv, radio, agenzie, siti.

Pur essendo l’alba (per me tutto il tempo che precede il mezzogiorno) comincio a capire che in Spagna sta succedendo qualcosa. Nessuno dei colleghi ha letto il libro, ammettono (sono anche io una giornalista e parlare di cose che non so, o so poco, è il mio mestiere). Mi sgolo a cercare di spiegare che la sottomissione, la parola è di San Paolo, non c’entra niente con la violenza, che quella è roba per magistrati, psichiatri. Cerco di spiegare che l’uomo e la donna sono due povertà che si incontrano, e che non serve gridare i propri diritti, ma solo accogliersi reciprocamente. Dico, con Rilke, che siamo due fragili e limitate capacità di amare ma con un infinito bisogno di amore che rimanda in fondo al desiderio di Dio, il vero sposo (curiosamente a questo punto i colleghi appaiono disinteressati, forse dormono, non c’è il sangue). Dico che il problema della donna è il desiderio del controllo, quello dell’uomo l’egoismo, e che essere sottomesse significa smettere di controllare e permettere agli altri di essere, senza volerli formattare (a questo punto è caduta la linea, sempre).

Poco dopo pattino sul Lungotevere sul guano lasciato dagli storni cercando di non cadere mentre ascolto domande in una lingua che non maneggio, e rispondo in inglese o italiano. Tutto quello che so di spagnolo sono le parole delle canzoni di Violetta. Aggiungo qualche s alla fine delle parole e finalmente, alla dodicesima giornalista che chiama, chiedo di spiegarmi la ragione di tanto interesse nei miei confronti. “Il problema non è il libro che hai scritto” – ammette – “Il problema è che la casa editrice che lo ha tradotto è dell’Arcivescovado di Granada, del vescovo che ha detto che si possono violentare le donne che hanno abortito”. Rimango interdetta. Ho conosciuto il traduttore del libro, l’ottimo padre Mariano Catarecha , e tendo ad escludere che il “mio” editore abbia detto questo (infatti parlava della enorme violenza sul corpo della donna che è l’aborto, e il lasciare la donna sola a portarne le conseguenze).

Sul finire della turbolenta giornata, mentre combatto a mani nude la vera battaglia, il cambio di stagione dei figli, butto un occhio sull’iPad, nella speranza che una mail urgentissima mi costringa ad abbandonare l’odiato lavoro, magari, che so, per andare a ritirare un Nobel o anche le analisi del sangue, al limite.

Luca Signorelli  Apocalisse

Qualcosa che mi distrae, effettivamente, c’è, ma non un Nobel al momento. Apprendo che in Parlamento il PP, il PSOE e la Izquierda Unida chiedono che il mio libro venga ritirato dalla vendita, e la Izquierda sta raccogliendo firme per fare la stessa richiesta anche alla Fiscalia, che, secondo il traduttore di Google, è la Procura. Forse era meglio il cambio di stagione. Comunque, pare che la mia frase “l’uomo deve incarnare la guida, la regola, l’autorevolezza. La donna deve uscire dalla logica dell’emancipazione e abbracciare con gioia il ruolo dell’accoglienza e del servizio” sia stata intesa come istigazione alla violenza sulle donne. Quindi il problema non è solo l’arcivescovo, ma alla fine la dittatura dell’ideologia di genere, che siccome è falsa va imposta con la forza. A ben vedere, gratta gratta, siamo sempre lì: l’uomo contemporaneo, sa lui cosa è bene o male, e rifiuta che un Padre glielo insegni. Per questo tutto ciò che rimanda all’ascolto di un’altra voce che non sia quella che viene da dentro – questo è la fede – va cacciato, con qualsiasi mezzo.

Il mio sarebbe il primo libro censurato in Spagna dopo la fine del regime di Franco. Mi dispiacerebbe perché parla a donne indurite e uomini egoisti, si potrebbe provare a dargli un’occhiata. La maggior parte della gente si è fatta un sacco di risate (in molte librerie sta nel settore umorismo). Oppure si può sempre non comprarlo.

 

FORZA PRODI


Prodi con le primarie ha distrutto il Pd/Pci

 di Pierluigi Magnaschi  



 Le primarie, imposte, di fatto, da Romano Prodi, sono un sistema di selezione del personale politico inadatto in Italia. Non a caso hanno consentito, per esempio, di selezionare Luigi De Magistris come sindaco di Napoli con i risultati che stanno sotto gli occhi di tutti. In forza di questa designazione infatti il Pd è stato costretto a regalare i suoi voti a un candidato ad esso ostile e che, per di più, non apprezzava.

Di fatto però, le primarie sono riuscite anche a sciogliere il blocco antistorico e veteromarxista che teneva unito il partito, impedendogli, nonostante l'innesto della sinistra Dc, di aprirsi alla società. Coloro che lo abitavano infatti venivano dall'esperienza del Pci, cioè del partito che aveva attraversato tutte le bufere di un secolo terribile, il Novecento, e che aveva imparato a difendersi dagli avversari e dalle avversità, giocando con il gramscismo che, come ha scritto recentemente il filosofo francese, Alain Finkielkaut, è una teoria politica più pericolosa del lenisnimo.

Infatti il leninismo, proponendosi di occupare la società ricorrendo alla violenza, provocava, con la sua furia, anche i germi dell'opposizione (magari sconfitta, ma pur tuttavia sempre esistente). Il gramscismo invece, proponendosi di occupare la società attraverso l'infiltrazione dei suoi militanti nella magistratura, nella scuola, nelle università, nelle arti, nella sanità, per citare solo alcuni fra i settori più significativi, aveva realizzato «un'egemonia» soffice e pertanto incontrastabile perché non solo non si percepiva, ma si autoalimentava.

Militanti di questi tipo erano degli organizzatori, più che del consenso, del potere. Il partito da loro costruito era solidissimo e sostanzialmente impermeabile. Ospitava le truppe che dovevano uscire ma impediva alle truppe avversarie, o anche senza pedigree marxista, di entrare. Con le primarie, invece, il castello del Pci (perché di questo partito stiamo parlando, anche se sono cambiate le sigle) ha spalancato le porte. Sono quindi entrati anche i votanti, ai quali, spesso, non andava bene un partito che rimaneva arroccato sui valori di un tempo, ma lo votava perché, ai suoi occhi, era il meglio di ciò che forniva il mercato. Ecco perché le primarie stanno trasformando il Pd.

 

giovedì 14 novembre 2013

ANDREA'S VERSION


“Non intendo non continuare un non conflitto con Berlusconi.

Le firme raccolte sotto il documento, che poi documento non è, non intendono non proseguire, cioè non interrompere, quel non contrasto che, in non pochi, non hanno capito non essere tale.

Da questo punto di vista non sarà inutile, o meglio, non sarà non utile, non fare in modo che la non assenza nostra al Consiglio nazionale non diventi ciò che non voleva essere; così come, ovviamente, che una non dichiarata non presenza diventi ciò che intendeva non essere. Anzi.

La nostra posizione è chiara: non siamo non contrari a non utilizzare un non accordo interno, che non vuol dire disaccordo, nel senso di una non provata non concordia con Berlusconi; non utilizzeremo il non consenso non esterno al solo fine di non favorire una non partecipazione al Consiglio, né di trasformare un non contrasto in una non festa. E chi non ha orecchie per intendere non intenda. Angelino Alfano”.


sabato 9 novembre 2013

IL DOVERE DELLA POLITICA



Coinvolgersi nella politica è un obbligo per un cristiano. Noi cristiani non possiamo “giocare da Pilato”, lavarci le mani: non possiamo.
Dobbiamo coinvolgerci nella politica, perché la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. E i laici cristiani devono lavorare in politica. Lei mi dirà: “Ma non è facile!”. Ma neppure è facile diventare prete.

Non ci sono cose facili nella vita. Non è facile, la politica si è troppo sporcata; ma io mi domando: si è sporcata, perché? Perché i cristiani non si sono coinvolti in politica con lo spirito evangelico?
Con una domanda che ti lascio: è facile dire “la colpa è di quello”. Ma io, cosa faccio? E’ un dovere! Lavorare per il bene comune, è un dovere di un cristiano! E tante volte la strada per lavorare è la politica. Ci sono altre strade: professore, per esempio, è un’altra strada. Ma l’attività politica per il bene comune è una delle strade. Questo è chiaro.

(Papa Francesco 7/6/2013)