venerdì 4 aprile 2014

VOGLIO LA MAMMA

Mario Adinolfi sorprendente e spiazzante

Un ragionamento da sinistra, sorprendente e spiazzante, denso di dati e cifre, sui temi controversi del nostro tempo: matrimonio omosessuale, aborto, eutanasia infantile, diagnosi prenatale, “dolce morte”, omogenitorialità, uteri in affitto, transessualità, rapporti familiari.

Facendosi accompagnare da Pasolini e De André, un intellettuale controcorrente compie un viaggio con al centro la figura della donna e l’esaltazione della maternità.

Questo è l’ultimo capitolo del libro.

CAP. 15. CONCLUSIONI ANCHE POLITICHE

Sono una persona di sinistra. Di sinistra non generica, non da bar. Ho contribuito alla fondazione del più grande partito della sinistra italiana, sono stato candidato alla segreteria nazionale alle sue primarie fondative nel 2007, sono stato membro della direzione nazionale e della commissione che ne ha scritto lo statuto. Sono stato orgogliosamente un deputato della Repubblica iscritto al gruppo parlamentare del Partito democratico. Non vengo da una formazione marxista, provengo dall’esperienza del popolarismo italiano (ri)fondato da Mino Martinazzoli, ma mi sono sempre considerato dentro l’esperienza vasta e complessiva della sinistra italiana. Non per caso, ripeto, non per una chiacchiera da bar, ma per una precisa collocazione intellettuale. Norberto Bobbio nel suo illuminante “Destra e sinistra” spiegava come orientarsi nella dicotomia tra queste due parole chiave della politica e della storia contemporanea: chi è di destra tende a privilegiare il valore della libertà, chi è di sinistra si identifica di più con il valore dell’uguaglianza. Ecco, io ho sempre considerato prioritariamente intollerabili le disuguaglianze, le ingiustizie, le prepotenze derivanti da un sistema che se non si fonda su un’economia sociale di mercato, diventa invece di capitalismo liberista senza limitazioni e produce storture terribili i cui effetti si vedono nella terrificante condizione delle donne e delle giovani generazioni nel contesto contemporaneo. Sono una persona di sinistra perché per istinto e per ragione sto con il soggetto più debole: se c’è un diritto da tutelare, viene prima quello di chi non ce la fa a tutelarlo da solo. Lì deve intervenire l’azione della politica, lì sono intervenuto io nella mia azione di esponente di sinistra e di parlamentare impegnato in particolar modo nella difesa dei diritti dei più giovani, schiacciati tra precarietà non solo economica ma ormai esistenziale e un blocco ormai prolungato di qualsiasi forma di ascensore sociale. Ho speso la mia vita politica a sostegno dei diritti delle persone più deboli, con cognizione di causa e impegno costante, avendo come faro il valore dell’uguaglianza da mettere prima delle storture derivanti dal totem della libertà individuale: questo fa di me, senza dubbio alcuno, una persona di sinistra.
Ebbene, alla sinistra è rivolto questo libro. A tutti, certo, ma in particolar modo alla sinistra che attraversa la più profonda crisi della sua storia. E’ una crisi di identità, innanzi tutto: non si sa più cosa significhi essere di sinistra. Anzi ci sono alcuni, molti, che ritengono superata la dicotomia analizzata da Bobbio: ci dicono, destra e sinistra sono categorie superate dalla storia, non ci si può più definire con queste categorie obsolete. Io non lo credo. Credo sia anzi sempre più evidente la diversità tra chi mette al centro della propria azione la tutela del totem della libertà individuale e dei falsi diritti che ne deriverebbero e chi invece agisce politicamente spinto dalla necessità di tutelare le persone dalla violenza della disuguaglianza, dell’ingiustizia, della prepotenza del più forte sul più debole.

Credo però che la sinistra, nello sforzo di definire una propria leggibile identità nel percorso complesso della contemporaneità, stia commettendo il più tragico degli errori: ha deciso di camuffarsi, di aderire acriticamente allo “spirito del tempo”, di dimenticare i propri valori fondanti. Complice una sempre più vasta ignoranza, una spaventosa desertificazione culturale e intellettuale, la sinistra prova a ridefinirsi inseguendo le mode. La più sciocca è quella dei cosiddetti “diritti civili”, che già solo nella definizione fa sorridere, come se esistessero diritti che sono incivili.

In Spagna con le modifiche scellerate al diritto di famiglia e alla legge sull’aborto di José Luis Zapatero, in Francia con il “mariage pour tous” di François Hollande, persino negli Stati Uniti con lo zigzagare di Barack Obama sul tema del matrimonio omosessuale, la sinistra ha deciso di definirsi dimenticando la radice della propria ragion d’essere: la difesa del soggetto più debole. I leader che hanno seguito questa strada ne sono stati travolti: Zapatero, dopo aver governato una legislatura, non ha potuto neanche ricandidarsi alle successive elezioni e il suo stesso partito ha fatto di tutto per far dimenticare la sua figura; Hollande in Francia è al minimo storico di consensi di un presidente nella storia della République; quanto a Obama, consiglio una passeggiata negli Stati Uniti per capire quanto poco sia considerato. Aggiungo un purtroppo.
In questo delirio dissolutivo, in molti a sinistra hanno pensato che definirsi partendo dall’attacco alla famiglia tradizionale sostituendola con l’ambiguo plurale “le famiglie”, sostenendo posizioni a mio avviso chiaramente di destra estrema e nazista, non a caso figlie di un’ideologizzazione del totem della libertà individuale, come quelle a favore dell’eutanasia infantile, delle diagnosi preimpianto, della “dolce morte” e dell’aborto liberalizzato per tutti e in tutte le condizioni, potesse essere un modo di rimediare al vuoto.

La conseguenza è stata una ridefinizione, sì, ma completamente errata rispetto alle premesse. Si è di sinistra solo se si sostiene il soggetto più debole. Tra un neonato che è poggiato sul petto di sua madre dopo il parto e una coppia di ricchi omosessuale che si sono comprati quell’utero facendo leva sulla condizione di bisogno della donna e ora vogliono strappare il bimbo al seno della mamma, una persona di sinistra istintivamente con chi sta? Non ho neanche bisogno di rispondere, credo. Invece a sinistra si è fatta strada l’idea che in nome dei cosiddetti “diritti civili” sia un grande mito di progresso consentire il matrimonio omosessuale, rompere la sacralità della maternità, renderla oggetto di compravendita perché il diritto a sposarsi comporta il diritto a “mettere su famiglia” e nelle legislazioni dove si consente il matrimonio omosessuale si consente di fatto alle procedure di gestazione per altri, cioè di utero in affitto e altre bestialità.


Tutto si tiene. Se a sinistra mettiamo in crisi il concetto centrale del sostegno al più debole, diventando di fatto di destra per difendere il totem della libertà individuale e dei falsi diritti che ne derivano, allora si capisce come si smetta di difendere il bambino senza voce che ha diritto a nascere molto di più di quanto la donna abbia il diritto di abortirlo, l’anziano e il malato grave che ha bisogno di assistenza e non di sentirsi un peso per la società e la famiglia da eliminare con una “dolce” morte di Stato, la famiglia che fa fatica a portare avanti la carretta dell’educazione e della crescita dei figli, sostenendo magari in casa altre persone non autosufficienti.
La sinistra che attacca e vuole cancellare la figura chiave della madre, sostituendo i concetti decisivi e radicali di maternità e paternità, con una confusa “genitorialità” che si sostanzia nelle figure generiche e politicamente corrette del “genitore 1″ e “genitore 2″, fa venire davvero in mente la notte di Hegel, quella in cui tutte le vacche sono nere. In assenza di identità, si vuole far finire tutto nell’indistinto. Errore culturalmente, politicamente, umanamente mortale.
No. Io voglio la mamma. A conclusione di questo percorso vedo un’unica possibilità di futuro: tornare a star vicino ai soggetti più deboli di una società in crisi. Dovremmo trasformarci tutti in mamme, provare tutti verso il nostro prossimo l’immensa tenerezza che prova una mamma verso il proprio figlio. E’ istintiva, è inspiegabile, è inattaccabile perché è naturale. E’ la tenerezza profondamente umana, di cui cresce il bisogno.
Siamo ai saluti. Ringrazio prima le mie figlie, Livia e Clara, senza le quali non avrei ovviamente potuto scrivere queste righe: non sono stato il migliore dei padri, ma sono state fortunate perché hanno avuto madri clamorosamente brave e coraggiose. Ringrazio i tanti che hanno letto le anticipazioni di questo libro sui social network, scatenando migliaia di commenti e condivisioni, in un clima non facile ma con tanta voglia di costruttività, anche di molti di coloro che non apprezzano le idee qui esposte: è stato un modo nuovo di scrivere un libro, ma sono un figlio della rete e non avrei saputo fare diversamente. Ringrazio i compagni e gli amici del Pd, partito al quale per la prima volta quest’anno non mi sono iscritto e che alle elezioni non ho votato, sperando che queste parole producano un qualche ravvedimento o almeno un dibattito: sono comunque la mia famiglia politica, anche se ormai so che “morrò pecora nera”. Ringrazio la mia Chiesa, il magistero del Beato papa Giovanni Paolo II il Grande, la finezza intellettuale di Benedetto XVI, la figura carica d’amore per il prossimo di papa Francesco, i fedeli tutti e la comunità parrocchiale romana di Santa Maria Liberatrice al Testaccio dove per sette anni ho orgogliosamente servito Messa: ho scritto queste righe non da cattolico, nulla di quel che è contenuto qui ha a che fare con una dimensione religiosa ma è stato scritto laicamente da un laico, peraltro platealmente peccatore, ma quando si parla tanto di omofobia a me non può non venire in mente la “cattolicofobia” che fa strage vera di cristiani in ogni angolo della Terra e che rende difficile anche solo proclamare il nome di Gesù, di cui resto un soldato anche se non mi accosto all’Eucarestia, ripetendo però dal profondo del mio cuore che “non sono degno di partecipare alla Tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato”. Ringrazio la mia sorellina Ielma che mi ha fatto ragionare tanto, dalla notte tra il 5 e il 6 ottobre del 1997, sul valore della vita e sulla terrificante decisione del darsi la morte. Ringrazio Silvia, per le incomprensibili ragioni del suo amore per me e per aver accettato l’8 giugno 2013 di sposare a Las Vegas a mezzanotte un ciccione con i pantaloni della tuta, le Nike giallo fluorescenti e in testa una paglietta dei mobsters, i mafiosi dell’epica fondazione di Sin City, mentre lei era bellissima in abito bianco, il bianco della purezza del suo essere, del suo amare, del suo essere moglie e madre. Ringrazio il mio papà e tanto la mia mamma, come potrei non farlo alla fine di un libro così: stanno insieme da tanti anni, invecchiano borbottando ma volendosi bene, lei ancora conserva come una reliquia la pietra con cui schiacciavo da bimbo i pinoli al parco e il piatto che decorai all’asilo con la scritta “Ti voglio bene mamma”, la scritta è ancora valida. Ringrazio Pier Paolo Pasolini, esempio di vita controvento e di intellettuale libero davvero, figura cristologica del nostro tempo. Ringrazio voi che vi siete letti tutto questo, voi che lo farete leggere ad altri, voi che avete apprezzato, voi che non condividete nulla di quanto scritto. Non c’è astio, non c’è faccia feroce, non c’è compiacimento e non c’è soddisfazione. Ora mi sento, finalmente, vuoto. Che sarebbe come dire, in pace. Tutto quello che da tempo mi teneva in subbuglio l’ho riversato qui.

Ora, per tutti, un sorriso.

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