venerdì 15 settembre 2017

12 SETTEMBRE 2006 UNA DATA DA RICORDARE.


Questa data, di cui ricorre l’undicesimo anniversario, è rimasta e rimarrà nella storia. In quel giorno Benedetto XVI tenne all’Università di Regensburg  il discorso forse più importante di tutto il suo pontificato (perfino Giuseppe Vacca, il direttore dell’Istituto Gramsci, disse che qualsiasi persona di cultura deve aver letto quattro discorsi di papa Benedetto: Regensburg, il discorso ai Bernardins di Parigi, quello alla Sapienza di Roma e quello al Parlamento tedesco).
Il discorso di Regensburg, pur nella sua brevità, è una summa di intelligenza cristiana e può trovare applicazione in tutti gli ambiti della vita di fede. Esso riguarda infatti un tema di teologia fondamentale: il rapporto tra la ragione e la fede. Tema urticante in un tempo in cui né le religioni né la ragione stessa credono più nell’importanza di questo rapporto. Benedetto colpiva al cuore sia il relativismo delle società occidentali che di verità non vogliono più sentire parlare, sia le religioni che male impostano il problema, come l’Islam e il protestantesimo.
Come si ricorderà, subito dopo il discorso di Regensburg si sollevò un gran polverone: il mondo islamico protestò violentemente contro il Papa. Egli, in seguito, confessò candidamente di non aver pensato alle conseguenze politiche del suo dire, che comunque resta e resterà, nonostante i polveroni. La frase centrale era quella pronunciata dall’imperatore d’oriente, di fede cristiana, ad un pensatore musulmano durante un dialogo filosofico-teologico: «Ciò che è contro la ragione non viene dal vero Dio». Come si sa, per l’Islam Dio è Volontà onnipotente a cui si deve cieca e letterale obbedienza. Ecco perché essi si ritennero colpiti nel vivo. Ma la colpa non era di papa Benedetto, era della realtà delle cose.
L’attenzione generale fu indirizzata dai media solo su questo aspetto del discorso di Regensburg e nessuno fece notare che da quel discorso ne usciva male anche la religione protestante e, soprattutto, il cattolicesimo secolarizzato che vorrebbe accordarsi con un mondo senza verità. Non è inutile accennarne ora, mentre si ricordano i 500 anni della Riforma. Su questo punto le differenze tra la religione di Lutero e quella cattolica sono molto forti e papa Benedetto collocava il protestantesimo dentro il processo di corrosione del rapporto tra la ragione e la fede proprio dell’Occidente, considerandolo oggettivamente come alleato al cattolicesimo secolarizzato. Un implicito e oggettivo avvertimento al percorso ecumenico.
Dal discoro di Regensburg, naturalmente, nasceva non tanto una critica quanto soprattutto una grande proposta di ampio respiro che non deve essere dimenticata. Se non si tengono insieme la fede e la ragione, il cattolicesimo rischia di cambiare il proprio DNA. Rischia di diventare una fede senza religione, una prassi senza contenuti, una pastorale senza dottrina, un umanesimo senza Cristo, uno stare insieme senza sapere perché, un cattolicesimo senza missione, un dialogo senza annuncio, una carità senza verità, un pluralismo senza unità, un’etica senza dogmi, una coscienza vuota di contenuti, un come senza un perché.  
Stefano Fontana
Cardinale Van Thuân 

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