martedì 19 settembre 2017

TRUMP E LA FINE DI GOP E DEM

Daniela Coli
Tratto da LIST di Mario Sechi
Donald Trump e Nikky Haley (ambasciatrice all'ONU)


Per i nostri media Trump sarà presto cacciato dalla Casa Bianca, invece per Niall Ferguson, sull’ultimo Sunday Times,  potrebbe correre per la rielezione nel 2020 come RINO (Republican in Name Only), come è già accaduto nella storia americana.
John Quincy Adams divenne whig dopo essere stato eletto nel 1824, John Tyler si dimise da whig appena diventò presidente e Abraham Lincoln nel 1864 vinse le elezioni come leader del National Union Party. Nell’inglese americano RINO è un repubblicano solo di nome, considerato troppo indipendente dai conservatori del GOP.
 Cosa sta combinando The Donald? Il presidente flip-flop, come viene chiamato dagli avversari, sta aumentando il consenso, facendo accordi con i repubblicani sul bando contro gli immigrati musulmani e sulla riforma fiscale. Si accorda, però, anche con i democratici per proteggere i dreamers e forse sta facendo un deal anche sull’Obamacare.
Per The Loneliest President, come Politico titola un lungo articolo su Trump, essere isolato è un vantaggio. Riporta un tweet significativo di POTUS: “Dicono che sono isolato da lobbisti, corporazioni, grandi politici e Hollywood. BENE! Non li voglio”, e usa il corsivo per sottolineare la decisione.
Perché Chuck Schumer, il leader dem al Senato e Nancy Pelosi, leader dem al Congresso, si accordano con Trump e perché nel Gop c’è la guerra fredda?  Lo spiega un servizio shock di Jake Novak su CNBC: The party’s over: Republicans and Democrats are both finishedTrump, eliminando alle primarie 16 capi bastone repubblicani, ha umiliato la leadership repubblicana, ha stritolato la gerarchia e le regole di anzianità del partito ed è iniziata la guerra fredda. Mitch McConnell, il leader della maggioranza rep al Senato nel Kentucky, il suo stato, ha ora soltanto il 18 per cento dei consensi: significa non essere rieletto nel 2020 o perdere comunque la sua posizione se i repubblicani fossero battuti da candidati esterni vicini a Trump nelle elezioni di midterm del 2018.
Lo stesso accade nel partito democratico: in California alle elezioni del 2016 si sono battute due candidate democratiche. La leadership democratica era già stata umiliata da Obama nel 2008: la candidata del partito era Hillary Clinton, ma fu il giovane Obama, un senatore dell’Illinois considerato senza speranze, a vincere la nomination e la presidenza. Nel 2016 Hillary non è solo stata battuta da Trump, ma anche messa in difficoltà da Bernie Sanders, un indipendente che si è registrato democratico solo sei mesi prima delle primarie.
La sconfitta di Hillary, sostenuta dai media dell’intero establishment, ha sfaldato il partito. Ora i democratici si accordano con Trump sui dreamers e sull’Obamacare, che ha davvero assicurazioni troppo costose per le famiglie della midde classin crisi, perché vogliono liberarsi del brand loser Hillary, che continua a girare gli States a scervellarsi sulla sconfitta, e di movimenti estremisti come gli Antifa, sgraditi  all’elettore medio americano, contrario a un clima da una guerra civile.
Forse davvero, come suggerisce Niall Ferguson, avremo il primo presidente indipendente americano dopo tanti anni di partigianeria: repubblicani e democratici potrebbero iniziare a decidere caso per caso, quando sostenere Trump, quando opporsi, o non prendere posizione. Ci sono sempre stati presidenti flip-flop, ma nel caso di Trump, abbiamo due partiti sottosopra, sventrati, dove gerarchia, anzianità, dinastie non contano più, e quindi posizioni come lo speaker del Congresso o il leader di maggioranza potrebbero divenire meno ambite.

Non scompariranno nomi e simboli dei partiti, ma è la macchina stessa del partito a essere stata sbudellata: alle elezioni del 2018 e del 2020 i candidati esterni vicini a Trump potrebbero sfidare quelli del partito e così tra i democratici. Potrebbe prevalere la personalità del candidato, i problemi dell’America, non gli interessi dei partiti e ridursi la politica partigiana che ha prodotto un enorme debito pubblico, guerre evitabili e un governo invasivo che vuole legiferare oltre misura, perfino sulle questioni etiche. I due partiti sono in crisi, perché nonostante abbiano per decenni alimentato un clima di lotta faziosa, nella realtà, erano finanziati dalle stesse entità e, a dispetto della retorica opposta, hanno sempre finito per trovarsi d’accordo su questioni gravi e costanti come il controllo del debito, la riduzione dei costi sanitari o il miglioramento delle infrastrutture.

Gli elettori hanno percepito lo stile House of Cards della politica americana e hanno votato Trump o Sanders. Questi aspetti erano già stati evidenziati da libri importanti come Ruling America. A History of Wealth and Power in Democracy di Steve Fraser e Gary Gerstle  nel 2005 e in Machiavellian Democracy di John P. McCormick nel 2011, che mettono addirittura in discussione che gli Stati Uniti siano una democrazia.



Se Tocqueville sintetizzò il paradosso americano descrivendo gli Stati Uniti socialmente democratici e politicamente aristocratici, Fraser e Gerstle raccontano una nazione devota al culto della libertà e dell’uguaglianza, ma che fin dalla fondazione è stata caratterizzata da gerarchie, caste e dinastie economiche e politiche, che negano la stessa ideologia americana.
Il livello di disperazione di John P. McCormick, autorevole politologo di Chicago, è tale da arrivare a proporre un modello dove rappresentanti politici e  magistrati siano estratti a sorte. Il nuovo clima attrae anche Ian Bremmer, tutt’altro che trumpista, che ha apprezzato in un tweet il recente giudizio negativo di Steve Bannon sulle amministrazioni Bush jr, Obama e Clinton. The Bush administration...the Obama crowd...the Clinton crowd, it’s all the same" - Steve Bannon. I generally agree”. Il fantasma di George Washington forse sta sorridendo: fu Washington a mettere in guardia contro la formazione dei partiti e a invitare la nazione a scegliere leader per ragioni che trascendano la politica partigiana. Una proposta anche per l’Italia degli innumerevoli partiti e  partitanti.

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