mercoledì 29 novembre 2017

LA VERA VIOLENZA SULLE DONNE

di Costanza Miriano


Il senso di questo proliferare di giornate mondiali per, contro, del, è di far palare di qualcosa di cui si tace, far emergere un aspetto in ombra, ricordare una verità dimenticata. Il senso della giornata contro la violenza sulle donne qual è? Esiste forse qualcuno al mondo, in questo mondo occidentale in cui si celebra, che non la condanni? Che la giustifichi? Esiste qualcuno che passando davanti al Campidoglio illuminato di rosa venga alfine fulminato da una sorta di agnizione e decida di non essere più violento?
Per me è evidente che l’obiettivo vero di questa martellante, iperbolica campagna contro la violenza sulle donne – fenomeno non in aumento ma in flessione – sia la messa all’indice dell’uomo, del maschio bianco, occidentale, eterosessuale. Perché se è sacrosanto e indiscutibile condannare senza appello la violenza (e magari agire nelle sedi consone, prima di tutto quella penale, non sui social), se, forse, è necessario ampliare lo sguardo (c’è un’altra Asia, che è donna anche lei, e che sta in carcere da sette anni perché cristiana), allora forse sarebbe utile guardare alla vera condizione delle donne da queste parti.
Alle donne che conosco io, per dire, a procurare la vera sofferenza nella stragrande maggioranza dei casi non è stata una violenza o un abuso. Se guardo alla mia storia e a quelle reali di cui so, l’unica vera violenza che ho subito io, per esempio, è stata quella di dover lasciare i figli a  quattro mesi di età per non perdere il giro dei contratti da precaria. E già io sono una privilegiata, perché era per fare la giornalista. Ci sono milioni di donne nel mondo che invece che crescere i propri figli devono per necessità stare otto ore al giorno alla cassa di un negozio, anche quando i bambini hanno disperato bisogno di loro perché la legge non considera un diritto della donna obbedire alla propria carne. E’ un diritto uccidere il figlio, non è un diritto allattarlo: a tre mesi il bambino si nutre solo così, e costringere una donna a lavorare – prendere o lasciare – vuol dire interrompere un processo naturale. Anche questa è violenza sulle donne.

E’ violenta la mentalità aggressivamente emancipatoria di cui è imbevuta l’industria dell’intrattenimento, pensata affinché da quando vedi i cartoni a tre anni tu venga convinta che devi liberarti di chissà quali retaggi, che i figli e  gli affetti sono un peso, e che prima devi affermarti nel mondo, poi casomai pensare al resto. Le ragazze oggi la ciucciano col biberon questa mentalità. Poi magari a 45 anni sono infelici perché per la maggior parte di loro la vita non è stata una scelta consapevole, ma molto, molto condizionata.

E’ violenta la disapplicazione della 194, che dovrebbe prevedere l’aborto come extrema ratio dopo che si è tentato in ogni modo di salvare il bambino. È violento lasciare una donna sola col suo “problema”, e non fare una cordata intorno a lei che le dica che salvare quella vita è la cosa più importante che una comunità possa fare. E’ violenza sulle donne aver tolto l’obbligo di prescrizione per la contraccezione di emergenza: così oggi si vendono 600mila confezioni all’anno di pillole del giorno dopo, o dei tre giorni, senza ricetta (ma per l’Aulin serve): è violenza lasciare le donne a sbrigarsela da sole, senza assistenza, senza nessuno con cui parlare.
E’ violenza usare l’indignazione contro la violenza per incentivare una mentalità che è contro la profonda natura e quindi contro la felicità delle donne, che poi è esattamente la stessa tecnica che si usa per silenziare i sostenitori dell’antropologia maschio femmina accusandoli di bullismo omofobico.

IL FOGLIO 25 novembre 2017

SEGNO DEI TEMPI

Mi siedo al computer per scrivere il pezzo di stasera. Poi leggo la notizia.
Hanno chiuso Tempi.
Strano, mi veniva da scrivere “lo hanno ucciso”.
La rivista Tempi mi aveva pubblicato qualche articolo; poi, non so perché, non mi avevano più cercato. Avevo “fatto” anche una copertina: un mio “Te Deum” per Capodanno. Ero stato abbonato, ovviamente. Nell’ultimo periodo non più: mi mancava il tempo di leggere. Un po’ di rimorso forse ce l’ho.

E certo, è una mazzata. Non è che non l’avessi vista arrivare. Non è più il momento per le riviste; non è più il momento dei cattolici , specie quelli di un certo tipo. Non è più il momento di coloro che indicano il vero, di quelli davvero fuori dagli schemi e dal coro: quelli che dicono di esserlo hanno gli altoparlanti, la pubblicità gratuita e cantano tutti la medesima canzone.
Se il coro non lo fai, allora sono guai, cantava Bennato qualche anno fa. Minimo ti becchi denuncia per fake news, cioè per avere contraddetto il canto dominante. Chissà, forse veramente ci toccherà andare nelle catacombe, nascondendoci mentre fuori imperversano gli uomini con le picche. O forse sarà la ghigliottina, o il suo equivalente contemporaneo per chi non vuole fare sacrifici all’imperatore.
Oh, questo momento finirà. Tutti sappiamo che l’imperatore a lungo andare muore, le menzogne cessano di ingannare,  e sulle rovine devastate ciò che è vero rispunta. Non so se riuscirò a vederlo.
Può anche darsi che il padrone di casa decida che è ora di chiudere il locale, rovesciare le sedie sui tavoli e spegnere le luci.
Ma non sarà per domani, non ancora. Non è ancora il momento, non sono ancora i Tempi.
24 NOVEMBRE

BERLICCHE

domenica 26 novembre 2017

LE COLONIZZAZIONI IDEOLOGICHE SONO BESTEMMIA CONTRO DIO CREATORE

Grande intervento di Papa Francesco nell'omelia a Santa Marta il 22 novembre
Ci sono tre tipi di persecuzione: quella religiosa, quella politico-religiosa e quella culturale
Il Papa afferma che vi sono tre tipi principali di persecuzioni: una persecuzione soltanto religiosa, un’altra politico-religiosa, (ad esempio – afferma Francesco – la “Guerra dei 30 anni” o la “notte di san Bartolomeo”, “queste guerre religiose o politiche”), e una terza persecuzione di tipo puramente “culturale”, quando arriva “una nuova cultura che vuole fare tutto nuovo e fa piazza pulita delle tradizioni, della storia, anche della religione di un popolo”. Quest’ultimo tipo di persecuzione è quella nella quale si trova Eleazaro, condannato a morire per fedeltà a Dio.

Nella Messa di ieri era iniziato il racconto di questa persecuzione culturale, nota il Papa: alcuni del popolo vedendo il potere e la bellezza magnifica di Antioco Epifane, avevano pensato di fare alleanza per essere moderni e quindi presero l’iniziativa, andarono dal re che “diede loro la facoltà di introdurre le istituzioni pagane delle nazioni”. Non le idee o gli dei ma le istituzioni, rileva Francesco. In tal modo, questo popolo cresciuto attorno alla Legge del Signore, fa entrare una nuova cultura, "nuove istituzioni”, che fanno piazza pulita di tutto: “cultura, religione, legge”. “Tutto nuovo”, la “modernità” è una vera colonizzazione ideologica - sottolinea il Papa - che vuole imporre al popolo di Israele “questa abitudine unica”, in base alla quale tutto si fa così e non c’è libertà per altre cose. Alcuni accettarono perché gli sembrava una cosa buona, per essere come gli altri, e così si tolgono le tradizioni e il popolo inizia a vivere in un modo diverso.
Ma per difendere le “vere tradizioni” del popolo, nascono alcune resistenze, come quella di Eleazaro, uomo dignitoso, molto rispettato, e proprio il Libro dei Maccabei racconta la storia di questi martiri, di questi eroi. Una persecuzione nata da una colonizzazione ideologica va avanti sempre così: distrugge, “fa tutto uguale, non è capace di tollerare le differenze”.
La parola chiave che il Papa evidenzia, a partire dalla Lettura di ieri, è proprio “radice perversa”, cioè Antioco Epifane: una radice che viene fatta entrare per far crescere nel popolo di Dio “col potere” queste abitudini “nuove, pagane, mondane”.
“E questo è il cammino delle colonizzazioni culturali che finiscono per perseguitare anche i credenti. Ma non dobbiamo andare troppo lontano per vedere alcuni esempi: pensiamo ai genocidi del secolo scorso, che era una cosa culturale, nuova: ‘Tutti uguali e questi che non hanno il sangue puro fuori e questi’… Tutti uguali, non c’è posto per le differenze, non c’è posto per gli altri, non c’è posto per Dio. È la radice perversa. Davanti a queste colonizzazioni culturali che nascono dalla perversità di una radice ideologica, Eleazaro, lui stesso, si fa radice”.
Eleazaro, infatti, muore pensando ai giovani, a lasciargli un nobile esempio, “dà la vita, per amore a Dio e alla legge e  si fa radice per il futuro”. Quindi, davanti a quella radice perversa che produce questa colonizzazione ideologica e culturale, “c’è quest’altra radice che dà la vita per far crescere il futuro”.
Ciò che era arrivato dal regno di Antioco, era una novità e che le novità non sono tutte cattive, basti pensare al Vangelo, a Gesù, che è una novità ma – avverte il Papa - bisogna saper distinguere: “Bisogna discernere le novità. Questa novità è del Signore, viene dallo Spirito Santo, viene dalla radice di Dio o questa novità viene da una radice perversa? Ma, prima, sì, era peccato non si poteva uccidere i bambini; ma oggi si può, non c’è tanto problema, è una novità perversa. Ieri, le differenze erano chiare, come ha fatto Dio, la creazione si rispettava; ma oggi siamo un po’ moderni… tu fai… tu capisci … le cose non sono tanto differenti… e si fa una mescolanza di cose”.
La novità di Dio, invece, non fa mai “un negoziato” ma fa crescere e guarda il futuro: “Le colonizzazioni ideologiche e culturali soltanto guardano il presente, rinnegano il passato e non guardano il futuro. Vivono nel momento, non nel tempo, e per questo non possono prometterci niente. E con questo atteggiamento di fare tutti uguali e cancellare le differente commettono, fanno il peccato bruttissimo di bestemmia contro il Dio creatore. Ogni volta che arriva una colonizzazione culturale e ideologica si pecca contro Dio creatore perché si vuole cambiare la Creazione come l’ha fatta Lui. E contro questo fatto che lungo la storia è accaduto tante volte soltanto c’è una medicina: la testimonianza, cioè il martirio”.


martedì 21 novembre 2017

LE SFIDE DELLA FEDE


LETTERA DI MONS. LUIGI NEGRI
 a Culturacattolica.it  19 novembre 2017


(omissis) … Quando il Cardinale Giacomo Biffi parlò di Bologna (cioè di un pezzo enorme della società italiana ) come di una “società sazia e disperata” certamente anticipava la situazione in cui viviamo, con la sola differenza che la sazietà è meno presente di allora, forse è mal distribuita: oggi è una società meno sazia, ma non meno disperata, perché non ha più quei criteri fondamentali della vita che – come dice Paul Claudel nell’ “Annunzio a Maria” – sono quei criteri che ti consentono di mangiare in pace il tuo pane e di bere il tuo vino e di affrontare le circostanze dell’esistenza in modo responsabile e dignitoso.
Madonna della Misericordia di Arezzo

Io credo che la Chiesa, sfidata sulla fede, deve dare coralmente una grande testimonianza di fede: da chi guida la Chiesa per mandato e per autorità Divina, in comunione con quel Collegio Episcopale che è seguito al collegio Apostolico, che è parte essenziale della vita della Chiesa e che non può essere né sottaciuto ne relativizzato. Da colui che guida la Chiesa in comunione con i suoi fratelli Vescovi, ad ogni singolo cristiano; sfidati sulla fede noi diciamo che la fede vale più della vita! Dobbiamo dire con la nostra esistenza (prima ancora forse che con le nostre parole) che la fede vale più della vita: che il senso del mangiare e del bere, del vegliare del dormire, del vivere e del morire – cioè dell’esistenza, ossia della sua articolata, faticosa e dolorosa, ma anche del suo lieto muoversi – è la Fede.

Noi non possiamo limitarci a dire che l’umanità ha tanti problemi da risolvere e che noi ci apprestiamo ad aiutare a risolverli, in parte perché non siamo così sprovveduti da pensare che noi potremmo risolvere tutti i problemi materiali, economici e sociali. Noi dobbiamo dimostrare che la fede, svolgendosi nella nostra vita e diventando testimonianza, è capace, sulla base dell’annuncio di Gesù Cristo, di arrivare a tutte le conseguenze della vita personale, della vita familiare, della vita sociale, della vita nazionale e internazionale.

Stupisce rileggere alcune parti del grande magistero di Benedetto: questa visione significativamente cristologica ed ecclesiologica della vita della persona e della società, fino a ipotizzare con chiarezza che ci può essere un ordine mondiale fondato sulla gratuità. E la Chiesa è chiamata a dare una risposta responsabile, a creare un ordine economico fondato non sull’interesse, sul possesso, ma sulla gratuità; e a dimostrare dunque che la nostra prima preoccupazione è annunziare Cristo, dimostrarlo al mondo di oggi.

Il mondo di oggi non sono soltanto le migliaia di persone che dalle parti più disparate della terra, con le motivazioni più diverse – quindi non necessariamente tutte motivazioni adeguate, umane, significative ed oneste: perché gli extracomunitari non sono una terra benedetta dove non c’è né peccato, né orgoglio, né violenza, ecc... – il mondo d’oggi è questa gente che ci vive accanto, o che ad ondate viene accolta (per la mitezza e la generosità del nostro popolo) con non pochi sacrifici nelle nostre strutture abitative. A questa gente che cosa dobbiamo dire come Chiesa? “Arrangiatevi, rifocillatevi e andate in pace?” Dobbiamo dire che c’è Gesù Cristo che li attende e li aspetta! Di cui sono bisognosi anche se non lo sanno e perciò la nostra prima preoccupazione, il respiro ampio della nostra vita è annunciare Cristo.

(…) Perché noi abbiamo la precisa convinzione, guardando noi stessi e partendo da noi stessi, che la vita umana non è vita se non c’è la presenza di Cristo. Come ricorda s. Giovanni Paolo II nella Redemptor Hominis al n. 10: «L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo - non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere - deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve «appropriarsi» ed assimilare tutta la realtà dell'Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso». 

(…) La Chiesa con il suo episcopato deve riaffermare quanto ha detto la Madonna a Fatima che l’attacco alla Chiesa è attacco alla famiglia, attacco alla vita e alla sua misteriosità, alla sua intangibilità, al suo non essere a disposizione se non di Dio, e quindi meno che mai della scienza. È fondamentale non essere assenti dalle grandi questioni che caratterizzano la vita della nostra società, mentre il mondo dà la sua preferenza a quelli sicuramente silenziosi, oppure a coloro che, quando parlano, parlano in linea col pensiero unico dominante

La paternità che noi esercitiamo nei confronti di tutto il popolo cristiano è un riverbero, una attuazione della grande e unica paternità di Dio: e la paternità si esprime come amore all’uomo e alla sua verità; noi non possiamo non amare la verità degli uomini che vivono accanto a noi. E dobbiamo amarla questa verità anche quando non sembra che sia la preoccupazione dei nostri interlocutori uomini; io non credo che dobbiamo avere nell’occhio della nostra coscienza quel che il mondo dice di noi: dovremmo avere nell’occhio della nostra coscienza quello che Cristo ci chiede e che il popolo ha il diritto di aspettarsi da noi: l’educazione alla verità, alla libertà, alla responsabilità e alla missione. Un vescovo deve fare questo! educare alla verità, alla libertà, alla responsabilità e alla missione. Se temperamentalmente è più cordiale di altri meglio per lui; se invece è un po’ sobrio e riservato va bene; un vescovo non definito dal come esercita l’autorità, ma se esercita o no l’autorità.
Sostanzialmente agli uomini di chiesa tocca la responsabilità di una presenza paterna, fatta di amore alla verità ed educazione del popolo. Per vivere in modo sempre inadeguato questo compito occorre l’aiuto di Maria alla quale ci affidiamo con fiducia totale.
“Totus tuus”.

Leggi qui tutto l’intervento

REMI BRAGUE : IL SOGNO DI ELIMINARE IL CRISTIANESIMO


Remi Brague è stato insignito il 18 n0vembre del premio “Internazionale di Cultura Cattolica”, assegnato in passato al Card. Ratzinger e a don Giussani.

Dopo la polemica generata dalla decisione del Consiglio di stato francese di rimuovere la croce a Plöermel, in nome della laicità, il filosofo francese Rémi Brague ritorna sulla nozione di laicità.
Ne parla con Alexandre Devecchio del Figaro. “Ci sono due ragioni: da un lato, la stanchezza di fronte a ciò che è ripetitivo in queste misure; d’altra parte, il fastidio per la meschinità che testimoniano. In Bretagna, non puoi lanciare un mattone senza che cada su un recinto parrocchiale. E dov’è che una croce è più al suo posto che sopra la statua di un Papa? Il secolarismo non ha nulla della dignità di un principio filosofico, ma costituisce una nozione specificamente francese. La parola è persino intraducibile”.
Ma come applicare la legge sul velo a scuola e il burqa in strada se la legge non viene applicata rigorosamente per tutte le religioni?
“Il vero parallelo alla costruzione di un tale monumento sarebbe la costruzione di una moschea. Chi la vieta? Molti comuni, anzi, la preferiscono. In ogni caso, si ha spesso l’impressione che una legge in Francia sia piuttosto un’opzione. Quante leggi sono rimaste senza decreti attuativi? Vediamo le donne che indossano il velo che nasconde i loro volti? La applichiamo nei ‘quartieri’? Il ‘secolarismo’ in stile francese è stato scolpito su misura del cristianesimo da persone che lo conoscevano molto bene. 
Il problema con l’islam non è, come si dice troppo spesso, che non conosce la separazione tra religione e politica (da qui l’espressione imbecille di ‘islam politico’). E’ piuttosto che ciò che chiamiamo ‘religione’ include un insieme di regole della vita quotidiana (cibo, vestiti, matrimonio, eredità, ecc.), presumibilmente di origine divina, che devono quindi avere la precedenza sulla legislazione umana. La laicità non è e non può essere un’arma. E, almeno in linea di principio, ancor meno essere diretta contro una particolare religione. Lo dico perché è stata forgiata contro una religione molto specifica, cioè il cristianesimo cattolico, a cui la grande maggioranza della popolazione ha aderito più o meno consapevolmente, con più o meno fervore. Lo stato non deve favorire nessuno, né combattere nessuno. Alcuni secolaristi sognano di porre fine al cristianesimo, dandogli il tanto atteso colpo di grazia dal XVIII secolo. Sfruttano la paura dell’islam per cercare di scacciare dallo spazio pubblico ogni traccia della religione cristiana".

"Sentiamo dire che ‘l’islam è una religione come le altre’ ma nessuna religione è una religione come le altre. Ognuna ha la propria specificità. Applicare il concetto cattolico di ‘integralismo’ o protestante di ‘fondamentalismo’ a fenomeni che non hanno nulla a che fare con queste due denominazioni, questo è il vero fumo negli occhi. I più grandi massacri del XX secolo non furono fatti da regimi semplicemente atei, ma da regimi desiderosi di estirpare la religione”.

La minaccia dell’islam? “La più seria non è sicuramente la violenza. Questa è solo un mezzo per un fine, la sottomissione dell’intera umanità alla Legge di Dio”.
20 Novembre 2017 IL FOGLIO

Chi desidera approfondire il pensiero di Brague, che ha molti elementi originalmente ratzingeriani, può leggere il link sottostante



lunedì 20 novembre 2017

CONTRARIE AL BUON COSTUME


BADA COME PARLI (ABBIAMO UN PROBLEMA CON LA LIBERTA')
Prima ci rendiamo conto che siamo ormai in regime di “libertà condizionata”, meglio (o meno peggio) è.
Teoricamente, l'articolo 21 della costituzione è sempre in vigore, ma di fatto il suo primo comma, quello che tutti ricordano e sbandierano: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», viene sempre più fagocitato dall'ultimo, che nessuno cita mai: «Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume».
La questione è: chi decide che cos'è il buon costume? La risposta è semplice: lo decide chi detiene il potere. Quello reale, non quello formale (i titolari del potere formale sono, in pratica, degli esecutori). Quando i costituenti scrissero quell'articolo era chiaro a che cosa si riferivano («o gran bontà dei cavalieri antichi!»), e del resto vivevano in un'Italia in cui quell'espressione aveva un senso immediatamente comprensibile a tutti, perché c'era un ethos condiviso. Ma oggi?
Oggi i controllori del discorso pubblico impongono in maniera sempre più sfacciata e impudente che buon costume è ciò che pensano loro. 
L'altro giorno, per esempio, un mio amico, don Francesco Pieri, si è fatto, ad alta voce, una domanda - che io voglio riproporre in termini più “asettici” perché risalti meglio la sua indiscutibile legittimità: "il numero di individui appartenenti alla specie umana la cui morte è stata causata, direttamente o indirettamente, dall'attività di Salvatore Riina è maggiore o minore di quello degli individui appartenenti alla specie umana la cui morte è stata causata, direttamente o indirettamente, dall'attività di Emma Bonino?"
Ciascuno, ovviamente, ha il diritto di considerare questa domanda sbagliata, malposta, oziosa, assurda, oppure provocatoria, scandalosa, ripugnante eccetera eccetera, ma la campagna mediatica che si è immediatamente scatenata nei confronti dell'autore del quesito, reo oltretutto di essere un prete cattolico, serve oggettivamente a ribadire nella testa della gente il concetto che espressioni del pensiero di quel genere sono «contrarie al buon costume». Per ora non sono ancora legalmente perseguibili (forse), ma - come diceva Napoleone - l'intendece suivra.
(Frattanto qui da me, a Cesena, il comune si è già portato avanti, stabilendo - per via amministrativa! - come discriminare i buoni dai cattivi nella possibilità di manifestazione pubblica del pensiero).
Contro tutto questo, c'è un principio evidente a cui dovremmo stare attaccati come ostriche: la libertà di espressione del pensiero non è reale se non viene garantita anche ai pensieri (che noi consideriamo) aberranti, moralmente ripugnanti, inaccettabili. Siamo liberi, anzi abbiamo il dovere morale e politico di combatterli con tutte le armi intellettuali di cui disponiamo, ma dobbiamo tutelarne la libertà.

Altrimenti la libertà di cui cianciamo continuamente non è diversa da quella di cui si gode in Corea del Nord, dove tutti sono liberi di dire “Viva Kim Jong Un!”. L'unico problema è che possono dire solo quello. Noi possiamo dire qualche cosa di più, ma è una differenza solo quantitativa, non qualitativa.
LEONARDOLUGARESI.WORDPRESS.COM


sabato 18 novembre 2017

GENDER AMERICAN COLLEGE OF PEDIATRICIANS

GENDER IDEOLOGY HARMS CHILDREN
L'IDEOLOGIA GENDER PUO' PORTARE AD UN ABUSO  SUI MINORI


I pediatri americani escono allo scoperto con un documento chiarissimo, rigoroso sotto il profilo scientifico e decisamente coraggioso sul GENDER.
Vi proponiamo una sintesi in italiano, un nostro commento e l’originale in inglese (pdf).
SINTESI:
1.       La sessualità umana è oggettivamente binaria: xx=femmina, XY= maschio.
2.       Nessuno è nato con un genere, tutti sono nati con un sesso.
3.       Se una persona crede di essere ciò che NON è, questa situazione è da considerare quantomeno come uno stato di confusione.
4.       La pubertà non è una malattia e gli ormoni che la bloccano possono essere pericolosi.
5.       Il 98% dei ragazzini e l’88% delle ragazzine che hanno problemi di identità di genere durante la pubertà li superano riconoscendosi nel proprio sesso dopo la pubertà.
6.       L’uso di ormoni per impersonare l’altro sesso può causare sterilità, malattie cardiache, ictus, diabete e cancro.
7.       Il tasso di suicidi tra i transessuali è 20 volte superiore a quello medio, anche nella Svezia che è tra i paesi più LGBT-favorevoli del mondo.
8.      E’ da considerarsi abuso sui minori convincere i bambini che sia normale impersonare l’altro sesso mediante ormoni o interventi chirurgici.

COMMENTO:
La “American College of Pediatricians” (seconda per importanza tra le due società americane di pediatria) prende posizione in modo chiaro, dal punto di vista medico, sulla pericolosità dell’ideologia gender e di alcune sue ricadute devastanti sulla vita dei bambini. Si tratta di un fatto molto positivo, perché finora nel conformismo generalizzato anche la classe medica su questioni di questo tipo si è perlopiù unita al coro più “alla moda” e più politicamente corretto. E’ incoraggiante trovare per una volta una affermazione (molto chiara e quasi dura) dei dati della realtà, riconoscibili da ognuno, non inquinati dall’ideologia dominante.
(Dr. med. Fabio Cattaneo, Medicina & Persona)

martedì 14 novembre 2017

GLI ADDETTI AI LIVORI


IL PRAGMATISMO IN POLITICA ESTERA DI TRUMP NON PIACE AI GIORNALI ITALIANI CHE SPARGONO ODIO E VELENI

Non dico che sia scoppiata la pace, ma quantomeno lo Stato islamico è sconfitto e sta ormai per essere sepolto fra Siria e Iraq.
Inoltre la Siria intravede all’orizzonte una possibile normalizzazione che mette fine a una guerra terrificante e ad essere sconfitta da questo esito è la passata amministrazione Usa, quella di Obama e della Clinton che avevano sostenuto la guerra ad Assad.
Sebbene non sia affatto finito il terrorismo islamico nel mondo, dell’eliminazione del Califfato, con i suoi crimini disumani, non si può che rallegrarsi (oltretutto questo dovrebbe anche ridurre i flussi migratoriverso l’Europa).

Gli addetti ai “livori” dei giornali italiani sono troppo impegnati, da due anni, a spargere odio e veleni contro Trump e contro Putin per accorgersi che – nel frattempo – il presidente americano e quello russo, insieme con il leader cinese Xi, stanno cercando di dare una sistemata a un pianeta dissestato, allontanando e fermando altre guerre e conflitti.

Dei tre leader il solo vero tiranno sarebbe quello cinese, ma – guarda caso – è l’unico che viene trattato in guanti bianchi dai media (per Trump e Putin valanghe di disprezzo e di accuse).
Questo accordo a tre dovrebbe disinnescare senza traumi la “mina vagante Kim”, cioè la Corea del Nord e dovrebbe dare un assetto finalmente pacificato (per quanto è possibile dopo quella carneficina) alla Siria, come pure alla Libia (dissestata al tempo di Obama, Sarkozy e Cameron: un altro capolavoro…). Ambisce pure a risolvere le tensioni nel Mar Cinese meridionale tra Cina, Vietnam e Filippine.

Certo, ci sono anche altre aree di crisi a livello internazionale. Per esempio, lo scontro fra Iran e Arabia Saudita. Ma se la guerra civile interna all’Islam fra sciti e sunniti rischia ora di infiammare altre parti del Medio Oriente, l’unico modo per arginarla e scongiurare nuovi sanguinosi conflitti – che avrebbero pure pesanti ripercussioni economiche a causa del petrolio – è proprio l’accordo fra Stati Uniti e Russia (le due potenze che stanno alle spalle dei due stati islamici).
E’ anche su questo – in prospettiva – l’accordo che Trump e Putin stanno faticosamente cercando di mettere in piedi.

IL PARTITO DELLA GUERRA

Proprio per scongiurare il dialogo e la pacificazione fra Usa e Russia da più di un anno l’establishment americano anti-Trump aveva disseminato di mine il cammino verso Putin, demonizzando il leader russo.
E’ il “partito della guerra” che faceva riferimento a Hillary Clinton e puntava sulla sua elezione.
Tutti i migliori osservatori internazionali, durante la campagna elettorale americana, sapevano e dicevano che tra la Clinton e Trump, il vero partito “bellico” era quello della Clinton.
Infatti la sua strategia, come Segretario di Stato, con Obama, era stata quella di alzare sempre più la tensione contro la Russia (ricordate le mega esercitazioni militari della Nato ai confini russi?).
Tutta la crisi Ucraina veniva usata con questo scopo da Washington (che soffiarono anche sul fuoco delle devastanti “primavere arabe) e l’Ucraina, con la questione della Crimea, sarebbe stata la miccia che probabilmente avrebbe acceso la guerra, una guerra dalle conseguenze imprevedibili, ma sicuramente tragiche, proprio nel cuore dell’Europa.
E’ uno scenario folle? No. Lo scenario è quello che si sarebbe presentato con la vittoria della Clinton.

Folle semmai era questa politica dello scontro, la politica intrapresa dagli Stati Uniti, fin dagli anni Novanta, e condivisa sia dai neocon repubblicani di George Bush sia dai liberal della Clinton: crollata l’Urss l’establishment bipartitico statunitense ha abbracciato l’utopia ideologica di un mondo unipolare, totalmente egemonizzato dagli Stati Uniti tramite il potere finanziario e la forza militare.
C’era già il canovaccio uscito dai soliti pensatoi: “Project for The New American Century”. Un nuovo secolo americano.

IL FALLIMENTO DI OBAMA/CLINTON

La crisi finanziaria del 2007-2008 è stato il primo crollo di quell’establishment, che ha mostrato i costi di quella globalizzazione, anche per le ricadute sociali della crisi dentro gli Stati Uniti.
Il fallimento internazionale dell’amministrazione Obama/Clinton – apprendisti stregoni che hanno dato fuoco al pianeta senza saper governare l’incendio – il secondo motivo di crisi.
Per questo ha vinto Trump. Il nuovo presidente ha fatto saltare quella bellicosa e devastante utopia neocon/liberal del mondo unipolare, a dominio “amerikano”.
Con Trump è tornato in scena il tradizionale pragmatismo repubblicano secondo cui Putin non è un nemico, ma un interlocutore da coinvolgere nella lotta al terrorismo. E la Cina è un gigante con cui trattare.

Perciò Trump rappresenta la fine dell’ideologia unipolare. Con lui gli Usa prendono atto, con intelligente realismo, che il mondo è di fatto multipolare e che gli Stati Uniti devono collaborare con gli altri protagonisti anziché esportare guerre, provocare disordine internazionale e suscitare conflitti (cosa che è disastrosa per lo stesso popolo americano).

L’ASSENZA DELL’EUROPA

In questo nuovo scenario mondiale spicca per totale assenza e afasia l’Unione Europea che è rimasta orfana di Obama, della Gran Bretagna e che ancora detesta e demonizza Putin e Trump.
Lo smarrimento delle élite europee è palpabile. Nei giorni scorsi “Der Spiegel” ha dato notizia di un documento segreto del governo tedesco (anzi del ministero della Difesa, cosa ancora più preoccupante) intitolato “Prospettiva strategica 2040”.
Delinea diversi scenari, ma quello più concreto, che più colpisce, considera il collasso e la disintegrazione dell’Unione europea.
I fattori di crisi elencati, già oggi, sono tantissimi: la Brexit, la marea migratoria, lo scontro tra i paesi dell’est (Polonia, Ungheria) e la Commissione europea, il crollo del consenso fra i popoli europei verso la disastrosa impostazione economica della Ue a guida tedesca, il caso Grecia.
In Germania nessuno se la sente di abbracciare il rilancio di Macron, che prevede più mercato e più Europa, perché prevedono che ci sarebbe la sollevazione popolare.

Nel frattempo Russia e Cina sono entrate nel “grande gioco”, anche quello del Mediterraneo dove la Ue è del tutto assente.
Così la Germania cerca piani di emergenza in vista del crollo dell’Unione europea e non è tranquillizzante che a occuparsene sia il ministero della Difesa tedesco.
Questi problemi che si annunciano sono del tutto assenti dal dibattito politico italiano pre-elettorale.

L’ITALIA DEL PD: PAESE SUBALTERNO

Se l’Europa è fuori dai giochi del riordino planetario, ancora più esclusa e insignificante è l’Italia a guida Pd.
La quale si è comportata da suddito servile verso la Germania, la Francia, gli Stati Uniti e la Ue, facendosi umiliare anche economicamente e così – come dice l’analista americano Andrew Spannaus – ha dato al mondo la sensazione di essere “un paese poco orgoglioso di se stesso e poco deciso nel perseguire i suoi interessi legittimi. Per questo (l’Italia) è destinata a rimanere un Paese subalterno”. (…)
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Antonio Socci
Da “Libero”, 13 novembre 2017


MORALISMO IPOCRISIA E GOGNA MEDIATICA


 Caro direttore,

guardando a ciò che sta avvenendo in questi giorni, soprattutto nel mondo dello spettacolo, sto pensando che non vi sia nulla di più facile che fare l’indignato. Come è facile e comodo indignarsi! Si capisce sempre di più come Gesù si sia sempre molto arrabbiato soprattutto con gli ipocriti di tutte le risme. Perdonava ai peccatori che avevano fede in Lui ed era terribilmente polemico con gli ipocriti che si sentivano a posto (“guai a voi!”).

Kevin Spacey
L’indignazione ipocrita può avere tanto spazio sia a livello personale che a livello sociale per il semplice fatto che viene censurato un dato di fatto che sarà pure misterioso, ma che è di una insolita evidenza: in ogni uomo ed in ogni donna vi è quello che la Chiesa definisce come peccato originale, che è presente in ciascuno di noi, anche in quelli che consideriamo “buoni”. Il peccato originale è presente persino in quei giudici che volevano rigirare l’Italia come una calzetta, ma che poi  hanno fatto vedere a tutti i propri terribili errori. Se tutti noi avessimo piena coscienza che siamo intrisi di “peccato”, non daremmo spazio ad atteggiamenti ipocriti. Saremmo pronti a capire ciò che giusto e ciò che non lo è, ma non cadremmo nell’infernale vortice di falsità morali condannato da Gesù. Anche perché indignazione ed ipocrisia non risolvono mai alcun problema. Soprattutto, non aiutano a tirarci fuori veramente dal peccato. Solo Uno ci può salvare, non la nostra indignazione ipocrita. Atteggiamento, quest’ultimo, che è tanto più grave quando finge di scoprire l’acqua calda (come nel caso degli approcci a belle attrici da parte di produttori e registi).

Caro direttore, vorrei farti alcune considerazioni a margine di quanto sopra. Quando era la Chiesa a richiamare uomini e donne a tenere certi atteggiamenti morali (fino a proclamare santa Maria Goretti per avere resistito al male) moltissimi, soprattutto tra gli intellettuali “de sinistra”, l’accusavano di essere bigotta e retrograda. Ora sono quegli stessi a stracciarsi le vesti, tra l’altro, con moltissimi anni di ritardo. E si stracciano le vesti senza compiere il minimo lavoro per andare alla radice del male. Condannano per il semplice gusto di condannare e di mettersi a posto la coscienza (magari tra una canna e l’altra). Gli attuali “indignati”, poi, sono gli stessi che fino a poco tempo fa proclamavano che, in nome di una mal compresa libertà, ciascuno poteva fare ciò che voleva. L’attuale indignazione prova che quella teoria era sbagliata. Il moralismo individua in ogni epoca un peccato particolare da combattere e su quello si scatena. Dopo avere inneggiato per anni al più sfrenato libertinaggio, ora inchiodano chi confessa di avere messo in atto quei precetti.

C’è poi un altro aspetto connesso a questo intrigo di moralismo e ipocrisia. Come mi ricorda spesso un mio caro amico, l’eccesso di indignazione ha cancellato qualunque distinzione tra peccato e reato. Avendo cancellato il concetto stesso di peccato dal proprio orizzonte esistenziale, per molti è rimasto solo il “reato”, il quale, per sua natura, deve essere sanzionato pubblicamente. Per il peccato, bastava la segretezza del confessionale; essendo rimasto solo il reato, occorre, per forza di cose, la punizione pubblica, che spesso, in mancanza della prescrizione legale, si trasforma nella gogna mediatica, che forse è peggiore di una condanna penale.
Weinstein, Uma Thurman  and Heidi Klum, 2014, Golden Globe


Caro direttore, una osservazione finaleA scanso di equivoci, è evidente che ogni violazione della libertà altrui, soprattutto se attuata con metodi violenti, deve essere condannata (e, se occorre, repressa). Ma sempre con la coscienza del proprio peccato. Molti di coloro che oggi si indignano penso che, nel proprio intimo, sognino di farsela con una bella attrice. Per Gesù anche questo è peccato. Ricordiamocelo.

PEPPINO ZOLA
13/11/2017
LA NUOVA BUSSOLA

sabato 11 novembre 2017

CONTRO TRUMP O CONTRO L’AMERICA? 2


IL MONOPOLIO DELLA CREDIBILITA’ E LA RELIGIONE DELLA LIBERTÀ

E ora Bush sr molesta anche Trump.

I don’t like him,” George Bush sr a 93nni scrive in un suo libro in uscita, secondo una recensione del New York Times, che non gli piace Donald Trump . 
I don’t know much about him, but I know he’s a blowhard. And I’m not too excited about him being a leader”: è uno sbruffone. Non so molto di lui, ma non mi appassiona la sua leadership. Così riferisce il sito on line di Fox news del 4 novembre.

Si apprende poi che Bush sr avrebbe anche votato Hillary Clinton nel 2016. Insomma dalla sua carrozzella il già vice di Ronald Reagan, poi 43° Potus non si trattiene e attacca un nuovo inquilino della Casa Bianca che certamente non  ha lo stile di una dinastia politica abituata al potere di Washington.
La Rochefoucauld
Per qualche tratto il vecchio George  ricorda Luigi XVI infastidito dal chiasso per la presa della Bastiglia. Peccato che non disponga di un duca de La Rochefoucauld che gli risponda alla domanda se quella di Trump è una volgare ribellione, “Non, Sire, c’est une révolution”.

Come ci ha insegnato il Novecento, non è poi che le rivoluzioni siano il paradiso in terra, e anzi si portano dietro sempre eccessi con possibili derive pericolose, talvolta tragiche o comunque sgradevoli (questo il caso del trumpismo, fenomeno che certamente non si segnala per violenze tipiche di altre vicende della storia ma per diverse sgradevolezze, sì). Non è neanche detto che le rivoluzioni non abortiscano. E negli Stati Uniti il sommovimento avviato con il voto per le presidenziali del novembre 2016 è in una fase di stallo che gli potrebbe essere fatale.

Resta comunque il fatto che una parte fondamentale della società americana si è non solo ribellata ma proprio rivoltata, sia pure con il voto, contro un ceto parlamentare in parte “bipartisan” e un articolato establishment che sembravano bloccare ogni dialettica politica, perpetuando una situazione avvertita soggettivamente come inaccettabile da settori ampi della popolazione.
 Non analizzare questo concreto processo  è il più grave peccato degli antitrumpisti, anche di quelli intelligenti, che infastiditi da una realtà non prevista si sono limitati e si limitano a esorcizzarla.

I media, centrali nel sistema di informazione liberal, innanzi tutto New York Times e Cnn, ma anche i siti liberal che si credevano non contrastabili, sono chiaramente infastiditi di non poter contare su quella situazione di quasi monopolio della credibilità di cui hanno goduto per un lungo periodo, e non si impegnano tanto a contestare i loro competitori quanto a delegittimarli: denunciano quindi gli editori che hanno una linea diversa dalla loro per irresponsabilità giornalistica, i loro reporter per essere servi umiliati e degradati, le scelte alternative alle loro come cedimenti all’audience, sollecitano il linciaggio morale di chi finanzia media conservatori. Infine c’è l’incredibile accusa, poi, che questi media conservatori “politicizzerebbero l’informazione”. Mentre i media liberal non avrebbero punti di vista “politici” ma solo sulle farfalle? Vi è dietro questa mobilitazione che appare talvolta avere tratti nevrotici, anche una convinzione ideologica: quella che la verità politica non nascerebbe dal libero confronto delle idee, ma dal conformarsi a modelli su cui i giornalisti “liberal” avrebbero l’esclusiva dell’approvazione.
Conosciamo bene in Italia questa prassi, come nel 1992 le maggiori testate nazionali (dall’Unità alla Stampa al Corriere) si coordinassero per concordare “la linea”, come poi per venti anni e passa l’élite giornalistica abbia sfornato  a ritmo serrato “le pistole fumanti” delle complicità di Silvio Berlusconi ora con la mafia ora con i soliti russi. Pur con molte botte ricevute, uno spazio di discussione aperto comunque anche da noi è stato difeso. Credo che ciò sarà ancora più semplice negli Stati Uniti dove la religione della libertà è centrale nella vita della società e dello Stato. E in questo senso, insieme con i giudici che agiscono secondo diritto e non politicamente, è centrale la necessità di difendere un sistema di media che discute “liberamente” come elemento essenziale di bilanciamento di qualsiasi sistema democratico.

Lodovico Festa

l’occidentale

CONTRO TRUMP O CONTRO L’AMERICA?


 Trump non è sicuramente Churchill, ma i pacifisti, dall’era di Hitler a quella di Kim Jong Un, invece, sembrano sempre proprio gli stessi
Chamberlain e Hitler

David Nakamura e Ashley Parker sul Washington Post del 7 novembre riportano questa frase di Donald Trump “Some people said my rethoric is very strong, but look what’s happened with very weak rhetoric over last 25 years”: qualcuno dice che la mia retorica è troppo forte, ma guardate dove siamo finiti dopo 25 anni di retorica debole.
Accanto a queste parole Trump ha messo in chiaro la disponibilità a trattare anche con Kim Jong Un. Nonostante questa disponibilità, il Presidente Usa è stato contestato da proteste pacifiste sottolineate con soddisfazione da Federico Rampini sulla Repubblica sempre del 7 che dei manifestanti scrive: “pensano che sia più pericoloso lo zio d’America che il cugino di Pyongyang”. 
Trump certamente non è Winston Churchill ma i giovani sudcoreani e i loro lodatori repubbliconi sembrano molto nipotini di Neville Chamberlain, dei giovani laburisti ultrapacifisti di allora (di cui è erede Jeremy Corbyn) e degli ambienti filonazisti di Londra che applaudivano il Patto di Monaco con annesso regalo dei Sudeti ad Adolf Hitler.

Come diceva il vecchio Churchill: “Potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra”.

lodovico festa l'occidentale